Nell'Aula di Palazzo Madama la scorsa settimana il decreto cittadinanza era stato approvato con 81 sì e 37 no. Martedì ha ottenuto l’approvazione definitiva dalla Camera con 137 favorevoli, 83 contrari e due astenuti. Aveva ricevuto il via libera a fine marzo dal Consiglio dei ministri, ed è in vigore da allora.

Magari qualcuno si era illuso che, prima di arrivare a questo ultimo atto, un minimo di buon senso, su un tema delicatissimo e fortemente sentito, avrebbe avuto la meglio e invece il provvedimento, strada facendo, è stato addirittura peggiorato arrivando a un capolinea che compromette, in maniera senza precedenti, il rapporto tra gli italiani che vivono all’estero e il loro Paese.

Che le ‘regole’ sulla cittadinanza avessero bisogno di un ritocco per evitare abusi e opportunismi è fuori discussione, ma essere passati da un estremo all’altro, senza il minimo interesse per una lunga storia piena di valori, sacrifici, amore, orgoglio, attaccamento autentico, è una completa mancanza di rispetto per milioni di italiani intorno al mondo.

Le limitazioni introdotte, con il decreto legge in questione, all’esercizio dello ius sanguinis, il principio con cui è possibile ottenere la cittadinanza, non tengono minimamente conto della storia, dei sentimenti e delle persone, di tutti coloro che per decenni sono stati e continuano ad essere custodi di un legame affettivo forte e sincero con l’Italia.

Uno schiaffo violentissimo a decine di migliaia di famiglie, in Australia, che hanno cercato, con vera passione e attaccamento, di trasmettere ai loro figli e nipoti l’orgoglio di sentirsi italiani, che hanno fatto sacrifici per farli sentire parte di una nazione che invece di dire grazie (l’ha fatto più volte attraverso politici e rappresentanti istituzionali, ma i nodi sono venuti clamorosamente al pettine per ciò che riguarda la sincerità) ora ha deciso di dire:

Non vi vogliamo più. Siete figli e nipoti di cittadini di serie B, perché i vostri nonni o i vostri genitori, anche se sono nati in Italia, non sono rimasti ‘esclusivamente’ italiani. Hanno abbracciato il diritto che noi stessi (il governo Italiano) abbiamo concesso e riconosciuto di poter avere una doppia cittadinanza.

Ed ora voi, figli e nipoti che siete cresciuti sentendo parlare italiano, che avete studiato o state studiando la lingua dei vostri genitori e nonni, che vi sentite orgogliosi delle vostre origini, che ammirate tutto quello che è italiano, che comprate i prodotti italiani e difendete il ‘made in Italy’ in tutte le sue forme, che amate la cucina italiana e comprate una Fiat o un’Alfa Romeo sognando la Maserati o la Ferrari, che non aspettate altro che andare in vacanza in Italia, che siete addirittura invitati da chi oggi vi rinnega ad andare a scoprire le vostre radici, che sognate di poter andare a studiare in Italia, potete riporre nel cassetto le vostre speranze di potere un giorno diventare cittadini del ‘vostro’ Paese.

Un Paese di cui i vostri genitori e nonni vi hanno insegnato a essere orgogliosi. E non potete farlo perché quegli stessi genitori o nonni quando, per circostanze e necessità varie, hanno preso anche un’altra cittadinanza, non hanno pensato che un giorno un ministro e qualche dozzina di suoi colleghi avrebbero deciso che dovevano rimanere ‘esclusivamente italiani’ per potervi assicurare il diritto di consolidare ufficialmente il vostro senso di appartenenza e identità. Perché la cittadinanza è sicuramente molto di più che un semplice documento: è un privilegio, è un senso di appartenenza che ci si porta dentro e va onorato e rispettato.

Vergogna pertanto per questa scelta, non di controllare o introdurre criteri per evitare abusi ed eccessi: avremmo, infatti, un po’ tutti accettato l’idea di limitare (anche se con qualche riserva, perché si poteva comunque fare meglio) a genitori e nonni il rapporto diretto per poter beneficiare del diritto e privilegio di rimanere italiani, ma quella clausola, tra l’altro aggiunta all’ultimo momento, al decreto-legge uscito dal Consiglio dei ministri, che ha tolto l’automatismo che permetteva di ottenere la cittadinanza a chi aveva un genitore o un nonno nato in Italia, è davvero troppo. 

L’aggiunta di quella ‘esclusività’ al testo del dl approvato dalla Commissione il 28 marzo del 2025, n.36 recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza cambia tutto e danneggia intere generazioni. Alla pagina 12 del documento del Senato, nel testo del decreto di legge, è stato, infatti, soppresso il paragrafo ‘e’: “un ascendente cittadino di primo grado dei genitori e degli adottanti cittadini è nato in italia”  modificando il paragrafo ‘c’ che originalmente indicava “un genitore o adottante cittadino è nato in italia” col penalizzante “un ascendente di primo o di secondo grado possiede, o possedeva al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza italiana”.

Fa sorridere ora che il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parli di “un provvedimento voluto per restituire dignità e significato a un diritto che deve fondarsi su un legame autentico con l’Italia, non solo burocratico, ma culturale, civico e identitario”.

“La cittadinanza – ha detto il vicepremier – deve essere un riconoscimento serio e consapevole, che si conferma attraverso l’impegno. Questa riforma non esclude, ma responsabilizza. Propone criteri più selettivi e trasparenti, capaci di rafforzare l’integrità del nostro sistema e prevenire abusi”.

Evidentemente Tajani e i suoi colleghi non si sono curati di capire e ascoltare chi li poteva informare un po’ meglio al riguardo di centinaia di migliaia di esempi proprio di quell’impegno di cui parlano, di un legame autentico con l’Italia, culturale, civico e identitario, che passa solo per forza, come ultimo necessario atto, attraverso la freddezza della burocrazia. 

Bravo, quindi, Tajani a non aver capito o ascoltato! E bravi tutti coloro che hanno votato nel Senato e alla Camera, per fare passare un provvedimento – introdotto tra l’altro d’urgenza, per motivi addirittura di sicurezza nazionale – che il senatore Francesco Giacobbe ha descritto come “miope, sbagliato e, soprattutto, incostituzionale, che sarà inevitabilmente oggetto di una valanga di ricorsi e impugnazioni”. 

Il rappresentante (PD) della Circoscrizione Estero - Africa, Asia, Oceania e Antartide, intervenendo dopo il voto finale nel Senato aveva anche detto, e condividiamo appieno il suo pensiero, che: “La maggioranza e il governo  hanno scelto di criminalizzare chi ha una doppia cittadinanza, e con loro tutti gli italiani all’estero, discendenti di quegli italiani che hanno sacrificato tutto, incluso l’amore per la propria terra, per emigrare e costruire un futuro migliore per i loro figli. Persone che hanno contribuito allo sviluppo economico, sociale e culturale di altri Paesi senza mai rinnegare la propria identità italiana. Adesso lo Stato italiano risponde negando diritti, umiliando la loro storia e tradendo la loro fiducia”.

Fra tanta delusione e frustrazione, però, per fortuna, c’è anche un lato positivo del decreto in questione, dato che è stato approvato un emendamento che apre alla richiesta di poter riacquistare la cittadinanza per gli italiani emigrati che hanno dovuto rinunciarvi per lavorare nei Paesi dove si sono stabiliti.

Una misura da lungo attesa, che, indubbiamente, rafforza i legami con l’Italia di chi, pur vivendo all’estero, è rimasto fino in fondo italiano. L’unico requisito, in questo caso, è essere nati in Italia.