CITTÀ DEL MESSICO - I preparativi stanno venendo approntati nel caso in cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dovesse veramente attuare il suo piano di deportazioni di massa.
Secondo le autorità locali, oltre 30 rifugi operano nella città di confine nello stato di Baja California. Tuttavia, la mancanza di spazi, risorse e incertezza rappresenta una sfida enorme per queste strutture.
Jamie Marín, direttore del rifugio Jardin de las Mariposas, ha espresso preoccupazione per una possibile crisi umanitaria: “C’è un nervosismo collettivo riguardo alle decisioni dell’amministrazione Trump”. Pat Murphy, responsabile del rifugio Casa del Migrante, ha aggiunto: “La sfida più grande è non sapere cosa accadrà”.
Durante il discorso inaugurale, Trump ha ribadito il suo impegno a deportare milioni di “criminal aliens”. In risposta, le autorità di Tijuana hanno dichiarato lo stato di emergenza per accedere a fondi necessari per affrontare un eventuale aumento di migranti di ritorno.
Nonostante il sindaco Ismael Burgueño Ruiz abbia definito la misura come preventiva, i rifugi locali sottolineano che il problema non è solo lo spazio. “Dobbiamo fornire sostegno psicologico e spirituale”, ha dichiarato Albertina Pauletti del rifugio Madre Assunta.
Marín ha evidenziato la necessità di maggiori risorse economiche per mettere a disposizione generi alimentari, servizi medici, programmi di reintegrazione e attenzione specifica per i gruppi vulnerabili.
Il governo federale messicano sta creando nuovi rifugi nelle città di confine, mentre la presidente Claudia Sheinbaum ha dichiarato che molti migranti si sono già messi in marcia per tornare ai loro paesi d’origine.
Nonostante l’incertezza, i rifugi rimangono impegnati nella loro missione: “Stiamo lavorando su progetti per aiutare queste persone a integrarsi o a ritrovare dignità nel loro percorso”, ha detto Pauletti.