La dieta mediterranea combinata a esercizio fisico regolare e strutturato possono diminuire di circa un terzo le probabilità di sviluppare il diabete in persone con rischi più alti della norma. Uno studio ha seguito per 6 anni 4.700 adulti tra i 55-75 anni, con la cosiddetta sindrome metabolica: ossia persone con fattori di rischio particolari di andare incontro alla malattia, a causa di ipertensione, colesterolo e zuccheri nel sangue elevati, nonché sovrappeso specialmente addominale. Al termine della fase di prova, i volontari sottoposti al nuovo regime hanno evidenziato il 31% in meno di casi di diabete rispetto agli individui che seguivano solo la dieta mediterranea. L’intervento sulle abitudini di vita ha incluso, oltre a un’alimentazione tipica mediterranea (poca carne, molta frutta e verdure, pesce e legumi), ogni settimana 6 giorni d’attività aerobica, 3 giorni di esercizi d’equilibrio flessibilità, 2 giorni di pesi. E l’assunzione di circa 500 calorie in meno al giorno. 

Demenza, rischio minore di ammalarsi

La dieta mediterranea può aiutare a ridurre il rischio di demenza. Lo rivela uno studio secondo cui le persone con il più alto rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer sono quelle che traggono i maggiori benefici dal seguire una dieta mediterranea, mostrando una maggiore riduzione del rischio di demenza. La dieta mediterranea è l’unico regime alimentare che è stato dimostrato in grado di dare benefici cognitivi in uno studio clinico. L’Alzheimer ha una forte componente genetica, con un’ereditabilità stimata fino all’80%. Gli epidemiologi hanno voluto verificare se la dieta mediterranea avesse effetti protettivi anche per le persone con rischio genetico di sviluppare la malattia.Un gene in particolare, l’apolipoproteina E (APOE), è il fattore di rischio genetico più forte per l’Alzheimer più comune che si sviluppa in età avanzata. Le persone con una copia della variante APOE4 nel Dna hanno un rischio da 3 a 4 volte maggiore di sviluppare l’Alzheimer. Le persone con due copie della variante APOE4 hanno un rischio 12 volte maggiore di sviluppare l’Alzheimer rispetto a quelle che non ne sono portatrici. Il team ha analizzato i dati di 4.215 donne. Per convalidare i loro risultati, i ricercatori hanno analizzato dati simili relativi a 1.490 uomini. I ricercatori hanno valutato le abitudini alimentari nel tempo ed eseguito periodicamente esami del sangue. I dati genetici sono stati utilizzati per valutare il rischio di Alzheimer di ciascuno. Gli esperti hanno scoperto che le persone che seguivano una dieta più simile a quella mediterranea avevano un rischio minore di sviluppare demenza e mostravano un declino cognitivo più lento. L’effetto protettivo della dieta era più forte nel gruppo ad alto rischio con due copie di APOE4, suggerendo che la dieta può aiutare a compensare il rischio genetico. Questi risultati suggeriscono che le strategie alimentari, in particolare la dieta mediterranea, potrebbero aiutare a ridurre il rischio di declino cognitivo e a prevenire la demenza. Questa raccomandazione potrebbe essere ancora più importante per le persone a rischio più elevato.

Rischi cardiovascolari differenti tra uomini e donne

Le differenze tra i sessi sono significative nel rischio cardiovascolare associato al diabete di tipo 1 e di tipo 2. Negli uomini, il diabete di tipo 2 comporta un rischio maggiore di mortalità e malattie cardiovascolari rispetto al diabete di tipo 1, specialmente tra i più giovani. Per le donne, al contrario, il diabete di tipo 1 presenta esiti peggiori a tutte le età.Questi sono i risultati del primo studio nel suo genere a confrontare il rischio cardiovascolare tra i due tipi di diabete. Lo studio, che ha coinvolto 404.026 pazienti (di cui 38.351 con DT1 e 365.675 con DT2) ha esaminato gli eventi d’infarto, ictus, insufficienza cardiaca, mortalità cardiovascolare e mortalità per tutte le cause. I ricercatori hanno analizzato i dati di un follow-up di cinque anni, stratificando i risultati per sesso e fasce d’età. I risultati hanno rivelato chiare disparità di genere e d’età. Gli uomini con diabete di tipo 2 di età inferiore ai 50 anni hanno mostrato un rischio significativamente più alto rispetto a quelli con diabete di tipo 1: il rischio di malattie cardiovascolari era superiore del 51%, quello di infarto aumentato di 2,4 volte e quello di insufficienza cardiaca di 2,2 volte. Superata questa fascia d’età, il rischio di infarto nel diabete di tipo 1 tende a superare quello del diabete di tipo 2, diventando significativamente più basso per gli uomini con diabete di tipo 2 oltre i 60 anni. Invece, per le donne con diabete di tipo 1, il rischio è costantemente più elevato di quello del diabete di tipo 2 a tutte le età per quasi tutti gli esiti. Nelle donne over 50, ad esempio, il rischio di malattie cardiovascolari è risultato inferiore del 25-27% nel diabete di tipo 2 rispetto al diabete di tipo 1, mentre il rischio di infarto è stato inferiore del 41-47%. Anche la mortalità per cause cardiovascolari e per tutte le cause è risultata più alta nel diabete di tipo 1. Le ragioni di queste differenze sono molteplici. Le donne con diabete di tipo 1 sono spesso diagnosticate in giovane età, il che le espone a un rischio cardiovascolare maggiore nel corso della vita a causa dell’esposizione prolungata a livelli elevati di zucchero nel sangue. A questo si aggiunge la possibile perdita della naturale protezione ormonale femminile. Al contrario, gli uomini più giovani con diabete di tipo 2 tendono ad avere più fattori di rischio associati, come obesità, ipertensione e stili di vita meno salutari, rendendo la loro condizione più aggressiva fin dall’inizio. In generale, essere donna offre una protezione contro le malattie cardiovascolari e la mortalità, un effetto visibile in entrambi i tipi di diabete, ma che si attenua nelle donne con diabete di tipo 1 a causa della lunga durata della malattia. Lo studio ha anche sottolineato il ruolo cruciale della durata della malattia. Se si escludesse questo fattore dall’analisi, il diabete di tipo 2 apparirebbe come una condizione di rischio più elevata rispetto al DT1, per via della sua forte associazione con altri fattori dannosi come obesità e ipertensione. Tuttavia, la lunga esposizione a iperglicemia nel DT1, data una diagnosi precoce, porta a un rischio cardiovascolare cumulativo che, nel tempo, può superare quello del diabete di tipo 2. I risultati dello studio sottolineano la necessità di una gestione clinica personalizzata per entrambi i sessi, puntando su una prevenzione intensiva e precoce, in particolare per le donne con diabete di tipo 1 e per gli uomini con diabete di tipo 2.

L’intelligenza artificiale rileva il rischio nascosto

Un team di ricercatori rivela come i sensori indossabili e l’intelligenza artificiale potrebbero trasformare il modo in cui rileviamo e gestiamo il prediabete. Per la diagnosi della malattia, generalmente i medici si affidano a un valore di laboratorio noto come HbA1c, che misura i livelli medi di glucosio nel sangue di una persona negli ultimi mesi. Tuttavia, esso non è in grado di prevedere chi è a maggior rischio di passare da uno stato di salute al prediabete, o dal prediabete al diabete conclamato. Lo studio grazie a un nuovo modello che utilizza i dati dei monitor glicemici continui (Cgm) insieme a informazioni sul microbioma intestinale, la dieta, l’attività fisica e la genetica, è in grado di rilevare i primi segnali di rischio di diabete che i test standard potrebbero non individuare. Sebbene alcune variazioni nei livelli di zucchero nel sangue siano normali, soprattutto dopo i pasti, picchi frequenti o accentuati possono indicare che l’organismo fatica a gestirlo in modo efficace. Nelle persone sane, la glicemia tende ad aumentare e diminuire in modo regolare. Ma in chi è a rischio di diabete questi picchi possono essere più marcati, più frequenti e più lenti a rientrare. Lo studio dimostra che monitorare queste dinamiche quotidiane fornisce una visione molto più dettagliata della salute metabolica di una persona e potrebbe aiutare a identificare i segnali d’allarme più precocemente.