Al di là delle sentenze e delle richieste di cessate il fuoco, questo conflitto sembra destinato ad allargarsi più che a fermarsi. E questo mi spinge a riflettere su quanto poco sia stato fatto, concretamente, per fermare la violenza che ha seguito l’evento tragico del 7 ottobre dello scorso anno e che ha visto la popolazione civile palestinese perire sotto gli attacchi di Israele.   

Oggi, purtroppo, il conflitto non solo lacera la striscia di Gaza, ma si è esteso al Libano, coinvolgendo l’Iran, e rischia di destabilizzare l’intera area mediorientale facendo, come sempre accade, della popolazione inerme di diversi territori la vittima sacrificale del conflitto. 

Questo scenario è un incubo che getta nel panico decine di migliaia di persone, da entrambe le parti, e di cui ho testimonianza diretta dai nostri connazionali che vivono in quei territori.

Ho conosciuto il timore di famiglie italiane che convivono con l’angoscia quotidiana, specie in quei casi in cui i figli sono arruolati nell’Esercito israeliano, e dunque esposti in prima linea, o vivono in aree sensibili che potrebbero finire, da un momento all’altro, al centro del conflitto. 

Una paura che accomuna anche tanti civili palestinesi, intrappolati in una situazione tragica e senza uscita. Di fronte a tutto questo, credo che sia giunto il momento di dire basta. È il momento per la comunità internazionale di intervenire con determinazione, imponendo un cessate il fuoco senza condizioni, perché ogni giorno che passa porta solo nuove vittime e ulteriore sofferenza.

La paralisi diplomatica che stiamo vivendo in Medio Oriente, come in Ucraina, testimonia quanto sia indispensabile riformare l’approccio globale ai conflitti. Non possiamo più permetterci che le organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite rimangano impotenti, costrette a restare in disparte di fronte a simili tragedie. Se lasciamo che siano le armi a stabilire chi ha ragione, il messaggio che trasmettiamo è devastante: la violenza prevale sulla ragione.

Dobbiamo agire in modo multilaterale e coordinato. È necessario che le singole nazioni facciano sentire la loro voce all’interno degli organismi internazionali, per costruire una pressione unitaria in grado di porre fine alle ostilità e avviare un processo di pace duraturo. Soltanto attraverso una forte pressione internazionale potremo garantire che tanto il popolo israeliano quanto quello palestinese possano vivere in pace nei rispettivi Stati, senza paura e in sicurezza.

Alcuni leader mondiali, in queste settimane, hanno fatto appelli alla responsabilità. Questo è sicuramente un segnale positivo, ma non è sufficiente. Dobbiamo andare oltre le parole e affermare con forza che ogni forma di violenza deve cessare immediatamente. Finché la comunità internazionale non sarà capace di alzare la voce e dire “basta” con chiarezza e convinzione, le guerre non troveranno mai soluzione.

Il nostro obiettivo non può essere quello di sostenere un lato contro l’altro, ma di costruire una pace equa e stabile per tutti, anche in Ucraina. Dobbiamo lavorare con un unico scopo: fermare le armi e far prevalere il dialogo. Non possiamo accettare di vivere in un mondo dove la pace sembra un’utopia, quando invece dovrebbe essere il fondamento stesso della nostra civiltà.

FRANCESCO GIACOBBE
Senatore della Repubblica Italiana eletto per il Partito Democratico nella circoscrizione Esteri AAOA