BUENOS AIRES – Prosegue la nostra serie di articoli sulla presenza italiana nei club di calcio argentini.
José Amalfitani, quel ragazzo nato il 16 giugno 1894 nella zona super porteña di Avenida Corrientes e Callao – e che presto si trasferì con la famiglia nel quartiere di Flores – non avrebbe mai immaginato che sarebbe passato alla posterità come il più grande dirigente sportivo dell’Argentina.
I suoi genitori, Don Luis Amalfitani (1866-1941) e Fortunata Graziadio (1875-1952), arrivarono come tanti immigrati italiani dal Sud Italia, più precisamente dalla Calabria. La madre era di Cosenza, venuta in Argentina in cerca di una vita migliore.
Conosciuto come Don Pepe, fu il figlio primogenito, protettore e consigliere delle sorelle e del fratello minore. I suoi genitori gli inculcarono la cultura del lavoro e del merito. Presto la famiglia si spostò verso la zona Ovest della città, dove ferrovie e tram stavano dando vita a nuovi quartieri.
Poco dopo quel famoso 1° gennaio 1910 (data della fondazione del Club Atlético Vélez Sarsfield), il “Tano”, come lo chiamavano, si affacciò alla vita della squadra, con un gruppo di ragazzi, per affrontare una realtà dura, dove la sopravvivenza del club era una battaglia quotidiana.

Certificato di battesimo di José Amalfitani.
Il 7 febbraio 1913 fu ufficialmente accettato come nuovo socio. E da quel momento la storia del Vélez, in parallelo con la sua, sarebbe cambiata per sempre.
Pochi mesi dopo, organizzò un festival artistico per raccogliere fondi, e il suo entusiasmo e impegno furono tali che il 4 agosto venne proposto come membro della Commissione Direttiva. Le sue parole di ringraziamento furono profetiche: “Prometto che non risparmierò alcuno sforzo da parte mia per il bene del club”. E non cessò mai di onorare quella promessa.
Candidato a consigliere per il Partido Demócrata Progressista, attore dilettante, giornalista del quotidiano La Prensa: queste furono solo alcune delle sfaccettature di un uomo noto per il suo temperamento burbero, ma sempre profondamente devoto al Vélez, in qualsiasi ruolo le circostanze lo avessero collocato.
Fu rappresentante del Vélez davanti all’Asociación Argentina de Football. Con il padre Luis, proprietario di un deposito di materiali da costruzione, realizzò ogni intervento edilizio necessario alla squadra. Fu promotore della prima pubblicazioni ufficiale di un club di calcio argentino, la rivista Vélez Sarsfield, stampata per sette numeri a partire dal dicembre 1922.
A 28 anni, dopo un’assemblea agitata, il 13 marzo 1923 fu eletto presidente per la prima volta. Durante il suo mandato, fu costruito e inaugurato – il 16 marzo 1924 – lo stadio di via Basualdo, che sarebbe diventato il leggendario Fortín di Villa Luro.
Nel 1926 sposò Alcira Imbert e, per un periodo, si dedicò alla famiglia e al lavoro, senza però allontanarsi dal Vélez. Dal gennaio 1933 fu vicepresidente primo.
Un episodio controverso, legato a un arbitraggio vergognoso contro il Boca Juniors, causò un voto di sfiducia contro il segretario e delegato Francisco Pizza, amico di Amalfitani. In segno di solidarietà, e di protesta per una misura che considerava ingiusta, anche lui si dimise.

Con i nipoti sul divano di casa.
Negli anni ‘40 il club attraversò la sua fase più difficile: la dolorosa retrocessione, la crisi economica, la perdita dello stadio, dimissioni di massa e l’organico che perdeva pezzi ogni giorno.
Il 30 dicembre 1940, a casa del presidente onorario Nicolás Marín Moreno, si tenne una riunione storica, alla quale furono invitati ex dirigenti e soci di spicco. Alcune ore prima, alcuni di loro erano andati a cercare Amalfitani affinché prendesse parte a quel conclave, che minacciava di decretare la scomparsa del club.
Durante i discorsi che prospettavano la dissoluzione del club, la voce di Don Pepe ruppe il silenzio: “Mi permette, signor Presidente? Io non sono venuto al funerale del Vélez Sarsfield. Che mi importa della seconda o terza divisione, se il Vélez ha portato il suo vessillo vittorioso in tutto un continente! Finché ci saranno anche solo dieci soci, il club resterà in piedi!”
Il 26 gennaio 1941 fu eletto nuovamente presidente. Iniziò così il periodo di straordinario sviluppo del Vélez come modello sportivo nazionale, impresa portata avanti grazie allo sforzo di molti, ma con una sola guida, la sua, che continuò fino alla morte nel 1969.
Con il suo patrimonio personale garantì i prestiti necessari per bonificare e ripianare il terreno paludoso dove sarebbe poi sorto il nuovo stadio, inaugurato l’11 aprile 1943, con un’amichevole contro il River Plate, finita in un pareggio 2 a 2. Nello stesso anno la squadra tornò in serie A. Si acquistò il terreno di Barragán per dare forma definitiva allo stadio, riaperto il 22 aprile 1951, con una vittoria 2 a 0 sull’Huracán.
Nel tempo il Vélez crebbe ancora: le installazioni si arricchirono di campi da basket, pista di pattinaggio artistico, palestra per la box, piscina olimpionica. Dal punto di vista meramente sportivo ci fu il prestigioso e combattutissimo secondo posto nel campionato del 1953.
Alla fine degli anni '60 si aprirono alcuni nuovi spazi nell’ambito sportivo. E se mancava qualcosa per mettere il sigillo finale all’immane impresa di un intero quartiere, con Amalfitani alla testa, arrivò la vittoria nel Torneo Nacional del 1968 per realizzare il sogno suo e di tante, tantissime generazioni.
Pochi mesi prima, lo stadio che aveva tanto difeso prese ufficialmente il suo nome come tributo al suo sforzo instancabile di una vita dedicata alla sua amata squdra.
José Amalfitani morì il 14 maggio 1969, ma chi frequenta il Vélez nega questa realtà: il continuo sviluppo sportivo, culturale ed educativo del club, anche attraverso la sua scuola (con tanto di infanzia, primaria, secondaria e tecnica) riunisce ogni giorno migliaia di giovani. La loro energia e i loro sogni mantengono vivo ogni giorno lo spiritoche Don Pepe aveva immaginato per questa istituzione.
Testo di Ariel Baudracco, membro della Giunta degli studi storici del Club Atlético Vélez Sarsfield.Info: juntahistorica@velezsarsfield.com.ar