I laburisti ora si possono permettere un po’ tutto, perfino di andare contro il loro stesso nuovo credo sul futuro dei combustibili fossili, estendendo al 2070 il progetto North West Shelf sull’estrazione di gas e di accogliere a braccia aperte Dorinda Cox, la senatrice verde del Western Australia, che ha deciso di passare nelle fila del partito di governo. I liberali e i nazionali ci hanno invece regalato una decina di giorni di grande intrattenimento, con i loro tormenti interni sfociati in un rumoroso divorzio prima di una riconciliazione forzata dalla realtà di un futuro elettoralmente ancora più disastroso in caso di mancata partnership. Ma i ‘numeri’ inaspettati usciti dalle urne di inizio maggio riguardano anche la terza forza politica australiana, ridimensionando le sue ambizioni e forzando una riflessione sulla sua storia passata e direzioni future.
I verdi, infatti, devono ancora accettare di avere completamente deragliato e di essere chiamati a scegliere cosa esattamente vogliono essere e rappresentare: ritornare, cioè, ad essere il partito del fondatore Bob Brown o proseguire sul nuovo corso tracciato da Adam Bandt? Guardando ai risultati, forse, un riaggiustamento verso le origini sarebbe opportuno. Lo scorso 3 maggio, infatti, i verdi con il loro nuovo impegno più militante sui grandi temi internazionali e molto meno concentrati e propositivi in campo ambientale, hanno perso tre deputati (seggi di Brisbane, Griffith e Melbourne) e un punto percentuale nel mezzo Senato in palio, rispetto al risultato ottenuto tre anni fa. Un’occasione decisamente persa, probabilmente per una campagna sbagliata, dato che i liberali in questa tornata elettorale hanno perso tre senatori, ma gli spazi creati sono stati occupati dai laburisti.
Per i verdi, quindi, uno status quo nella Camera di revisione, nonostante la massiccia perdita di consensi della Coalizione evidentemente non raccolti dal movimento ambientalista: 11 rappresentanti nel Senato fino a qualche giorno fa, scesi a dieci dopo l’abbandono, non previsto, a favore della causa laburista della senatrice Cox. Rimangono l’ago della bilancia, ma qualche ombra in fatto di ‘peso’ c’è, anche perché gli australiani alle urne hanno chiaramente dimostrato che fino a quando i verdi mantengono un ruolo di protesta va bene, ma quando cominciano a parlare di partnership di governo e di proporsi come un’alternativa, a sinistra, dei laburisti, non convincono proprio.
Un risultato quindi, quello uscito dalle urne, che li costringe a fare qualche riflessione su cosa hanno sbagliato e su cosa intendono fare per rilanciare il loro ‘marchio’. Negli ultimi tre anni, forse proprio a causa del successo ottenuto nel 2022 - con i tre seggi alla Camera conquistati in Queensland -, Bandt ha puntato con eccessivo vigore su temi che, per la maggior parte degli australiani, nonostante la loro indubbia importanza sulla scena mondiale, rimangono periferici, come la questione palestinese o l’erratica presidenza di Donald Trump. Ha destato più di qualche perplessità anche la vicinanza, espressa a più riprese, con il super-militante sindacato dei lavoratori edili, CFMEU, al centro di non poche controversie, con tanto di accuse di corruzione. Poco felice anche la strategia del “prima di tutto vogliamo impedire che Peter Dutton diventi primo ministro”.
Una netta presa di distanze dalle origini, dato che il fondatore Bob Brown aveva sempre fatto rilevare che i verdi erano una forza politica positiva e completamente indipendente: “Non siamo pro-laburisti e non siamo anti-liberali”, ha sottolineato anche nel suo saggio autobiografico del 2015 “Optimism: Reflections on a Life of Action”. Bandt ha praticamente smentito il concetto, assicurando di voler governare con i laburisti e impedire in qualsiasi modo un’affermazione dei liberali. Con la discesa in campo del movimento a sfondo ambientalista ‘teal’, sponsorizzato da Climate 200, oltre ai liberali, qualche voto in numerosi seggi sicuramente ‘non laburisti’, l’hanno perso proprio i verdi che puntano su un elettorato giovane, istruito e, spesso, con una certa ‘tranquillità’ finanziaria.
Dopo l’ascesa del 2022, quindi, una specie di ritorno alla realtà, di una presenza che conta nel Senato, con qualche problema in più per la nuova leader, Larissa Waters, di continuare a farla contare visto il possibile nuovo corso liberale anticipato da Sussan Ley e confermato, proprio in queste ultime 48 ore dal vice leader dell’opposizione e ministro ombra del Tesoro, Ted O’Brien. Quest’ultimo, infatti, ha aperto la porta alla possibilità di dialogo con i laburisti su temi che riguardano le riforme dei fondi pensione (se Jim Chalmers mostrerà maggiore flessibilità sulla controversa imposizione fiscale sui profitti virtuali su investimenti superiori ai tre milioni di dollari). Un’apertura in linea con le aspettative del primo ministro Anthony Albanese che, forte della sua nuova autorità, insiste sulla necessità di un cambio di passo in parlamento, con una maggiore positività da parte dell’opposizione, invitata ad abbandonare l’ostruzionismo su tutto a cui ci aveva abituato Peter Dutton.
Albanese ha ribadito le sue intenzioni di avviare un dialogo costruttivo in Aula per poter intraprendere la strada delle riforme per rilanciare la crescita (al momento a livelli più che preoccupanti, dato che nel primo trimestre dell’anno l’espansione economica è stata solo dello 0,2% invece che l’anticipato 0,4%, comunque inferiore al già debole incremento dello 0,6% di dicembre), la stabilità finanziaria e la produttività. Ley aveva anticipato la disponibilità ad una maggiore collaborazione che, se avesse davvero un seguito, potrebbe infliggere un altro duro colpo ai verdi, indebolendo il loro ruolo e le loro possibilità di negoziare con i laburisti su alcuni temi che considerano di particolare importanza, come quello dell’edilizia popolare, del tetto degli affitti e delle imposizioni fiscali sui profitti delle grandi aziende.
Già alla ripartenza dei lavori parlamentari, a metà luglio, un primo test di prova. Albanese e gli australiani avranno, infatti, occasione di vedere se effettivamente i liberali sono disposti a mantenere fede sia ai loro impegni elettorali, sia a concretizzare il nuovo stile annunciato, quando sarà immediatamente messa sul tavolo la promessa riduzione del ‘debito’ (HELP e VET) degli studenti del 20%: Dutton aveva detto che l’avrebbe fatto anche un governo di Coalizione, Ley sarà chiamata a confermare che l’offerta era genuina quanto il ‘nuovo corso’ liberale.