Professore di italiano presso La Trobe University per molti anni, Anthony Pagliaro ha tradotto i due volumi di Giorgio Cheda intitolati L’emigrazione ticinese in Australia, uno studio e racconto dell’emigrazione dei ticinesi durante la corsa all’oro.
Nato a Melbourne da padre pugliese e madre australiana, Pagliaro ha studiato letteratura italiana con il professore Colin McCormick presso la Melbourne Univeristy, specializzandosi e poi studiando Filologia Classica a Roma e iniziando a insegnare presso il dipartimento italiano a La Trobe dal 1975 fino a 10 anni fa.
La traduzione dei due volumi dedicati alla storia dei ticinesi in Australia è stata pubblicata dall’Italian Australian Institute poco prima dell’inizio della pandemia di Covid-19 e per questo il libro non è stato ancora presentato.
“Cheda ha scoperto vecchie lettere degli emigrati svizzeri del Ticino, collezionandole e iniziando a indagare sui motivi che spingevano gli emigrati a partire, le condizioni igienichee di salute durante il viaggio e l’esperienza australiana”, ha raccontato Pagliaro.
Lo scrittore è riuscito a fare un elenco di 2000 nomi di emigrati dal Ticino all’Australia nell’arco temporale che va dal 1853 al 1856, identificando varie ragioni tra cui la scoperta dell’oro: “Il Comune faceva un prestito all’emigrato che vendeva tutto, firmava un contratto e se ne andava”.

Quattro pionieri partiti dal Ticino che si sono stabiliti a Daylesford. Raffigurati in foto ci sono Giovan Battista Antognini, Albino Paganetti, Francesco Ceresa e Marco Moccettini. (Foto: Daylesford and District Historical Society)
Fu Piero Genovesi, a capo dello IAI, che si interessò al progetto e volle la pubblicazione della traduzione del libro: “Abbiamo terminato il progetto poco prima della sua scomparsa, giusto in tempo”, prosegue Pagliaro.
I racconti contenuti nei due volumi sono molti, come quello della nave Royal Charter che, tornando dall’Australia piena d’oro, naufragò sulle coste dell’Inghilterra, senza lasciare superstiti in un luogo in cui, ancora oggi, in molti vanno alla ricerca dell’oro perduto.
Mentre nel primo volume di The Emigration of Swiss Italians to the Australian Gold Rush si trovano analisi e dati sull’emigrazione di quel periodo dal Ticino, nel secondo volume sono raccolte le corrispondenze epistolari tra gli emigrati e le famiglie:
“Il ticinese del 1800 è un linguaggio particolare, con la presenza di parole misteriose. In certi casi le lettere sono state dettate e scritte dall’emigrato più istruito”, ha spiegato Pagliaro.
In Svizzera l’istruzione era diventata obbligatoria nel 1840, quindi si avevano delle conoscenze elementari ma nella maggior parte dei casi sapevano leggere e scrivere. In alcune lettere, come evidenzia il traduttore, la punteggiatura è inesistente e renderle comprensibili a un lettore anglofono sarebbe stato impossibile, a causa della mancanza delle concordanze maschili e femminili in lingua inglese:
“Ho dovuto fare dei compromessi, ma per capire a fondo queste lettere credo bisogni leggerle in italiano”, ha ammesso il traduttore.
Cheda racconta dell’esperienza australiana come un esilio, un’esperienza negativa in cui alcuni si arricchirono, ma in molti no:
“Chi ha fatto fortuna scompare dal racconto epistolare perché torna in Svizzera e non scrive più”.
Alcuni però sono rimasti e hanno comprato fattorie, tra cui ancora i numerosi discendenti che si sono stabiliti nelle zone di Daylesford tra cui cognomi noti come Righetti e Toghetti.