GAZA - Nella notte Israele ha ripreso le operazioni militari a Gaza, mettendo di fatto fine alla fragile tregua che durava da quasi due mesi. Estesi attacchi aerei sono stati lanciati contro diverse località della Striscia e hanno già causato, secondo Hamas, più di 400 morti e oltre 500 feriti. Un bilancio destinato a crescere.  

Lungi dal voler fermare l’operazione militare a Gaza, Israele intende anzi colpire sempre più duro, ha chiarito il portavoce del ministero degli Esteri, Oren Marmorstein. “Da questa mattina Israele sta attaccando con tutta la forza possibile l’organizzazione terroristica di Hamas nella Striscia di Gaza”, ha scritto Marmorstein sul suo account X riferendosi alla nuova operazione, denominata “Forza e spada”, assicurando che “d’ora in poi, Israele agirà contro Hamas con crescente intensità militare”. 

Hamas ha condannato la mossa del premier israeliano Benjamin Netanyahu, accusandolo di usare il conflitto come “ancora di salvezza” politica di fronte alle pressioni e alle crisi interne. In questo modo, ha avvertito il gruppo palestinese, il capo di governo ha “deciso di sacrificare” i 59 ostaggi ancora prigionieri, di cui 22 si ritiene siano ancora vivi, e “imporre loro una condanna a morte”. 

Netanyahu ha fatto riferimento proprio al “ripetuto rifiuto” di Hamas di “rilasciare gli ostaggi e di tutte le proposte ricevute dall’inviato del presidente Usa, Steve Witkoff, e dai mediatori” per giustificare la ripresa dell’offensiva. Il capo di governo ha spiegato di aver dato ordine alle Forze di difesa israeliane (Idf) di “agire con forza” contro il gruppo palestinese nell’enclave, “prendendo di mira obiettivi in tutta la Striscia”. 

Anche il ministro della Difesa Israel Katz ha minacciato che “le porte dell’inferno si apriranno a Gaza” e Hamas verrà colpito con una forza “mai vista prima” se non rilascerà tutti i rapiti. Entusiasmo è stato espresso dal leader di estrema destra Itamar Ben-Gvir, uscito dalla coalizione di governo a gennaio proprio in opposizione all’accordo di cessate il fuoco. Per il leader di Otzmah Yehudit, la ripresa della guerra è “il passo giusto, morale, etico e più giustificato per distruggere Hamas e riportare indietro i nostri ostaggi”. 

Hamas, intanto, ha chiesto ai mediatori di considerare “Netanyahu pienamente responsabile di aver violato e annullato l’accordo di cessate il fuoco”, mentre la Jihad Islamica ha assicurato che la nuova offensiva “non darà a Israele la superiorità sulla resistenza, né sul campo né nei negoziati. Non libererà Netanyahu e il suo sanguinario governo dalla crisi da cui stanno fuggendo”. 

Il gruppo palestinese sostiene che “ciò che Netanyahu e il suo barbaro esercito non sono riusciti a realizzare in 15 mesi di crimini e spargimenti di sangue, non riusciranno nuovamente a realizzarlo”, e accusa Tel Aviv di “aver deliberatamente sabotato tutti gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco”. 

Il piano operativo dell’offensiva è stato presentato dall’Idf lo scorso fine settimana ed è stato approvato dai vertici politici. Lunedì mattina Netanyahu ha tenuto una serie di riunioni con i capi delle forze armate e dei servizi di sicurezza per prendere la decisione finale sulla tempistica. 

Secondo un funzionario israeliano, il progetto è stato tenuto segreto all’interno di una ristretta cerchia nelle forze armate per usare l’elemento sorpresa contro Hamas. Nel mirino sono finiti comandanti di medio livello del gruppo palestinese, i membri dell’ufficio politico e la sua infrastruttura nella Striscia. 

A guidare l’offensiva israeliana dal quartier generale della Difesa a Kirya c’è il nuovo capo di Stato maggiore dell’Idf, Eyal Zamir, entrato in carica due settimane fa. Insieme a lui, il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, finito nell’occhio del ciclone domenica scorsa quando il premier israeliano ha annunciato l’intenzione di licenziarlo per “una crescente mancanza di fiducia”, scatenando le proteste dell’opposizione e del procuratore generale, Gali Baharav Miara. 

Tel Aviv ha fatto sapere di aver informato l’amministrazione Trump in anticipo del piano di attacco e dalla Casa Bianca la portavoce Karoline Leavitt ha confermato. “Trump ha chiarito che Hamas, gli Houthi, l’Iran, chiunque cerchi di agire tramite il terrorismo non solo contro Israele, ma anche contro gli Stati Uniti, ne pagheranno il prezzo”, ha puntualizzato a Fox News, ribadendo che “si scatenerà l’inferno”, la minaccia più volte evocata dal presidente americano in questi due mesi.  

“Tutti i terroristi in Medio Oriente dovrebbero prenderlo sul serio”, ha aggiunto Leavitt, facendo anche riferimento ai raid Usa contro gli Houthi in Yemen, che proseguono da tre giorni e “andranno avanti” se i ribelli filoiraniani “continueranno le loro azioni”. Dallo Yemen il gruppo sostenuto da Teheran ha risposto rivendicando di aver preso nuovamente di mira con missili e droni la portaerei Harry S. Truman in navigazione nel Mar Rosso, per la terza volta in 48 ore.  

“Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, ma invece ha scelto il rifiuto e la guerra”, ha sostenuto il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes. Dal gruppo palestinese si è fatto sentire Sami Abu Zuhri, che ha accusato l’amministrazione Usa di essere complice della nuova offensiva israeliana contro Gaza e ha ribadito che Hamas ha rispettato pienamente i termini dell’accordo. 

Già da settimane la comunità internazionale era impegnata a cercare di salvare la tregua, bloccata in un'impasse dopo la fine della prima fase e il mancato avvio della seconda. L’intesa, raggiunta grazie alla mediazione di Egitto, Qatar e Usa, con la pressione determinante del presidente americano entrante Donald Trump, aveva portato dal 19 gennaio alla liberazione di 33 ostaggi e al rilascio di oltre 1.700 detenuti palestinesi, dando un po’ di respiro a una popolazione civile palestinese stremata da più di 15 mesi di guerra. 

A Doha erano ripresi i colloqui ma le posizioni restavano distanti: Hamas premeva per l’avvio di negoziati sulla seconda fase - come previsto dall’accordo - incentrati sulla cessazione definitiva della guerra e il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, in cambio della restituzione di tutti i rapiti. 

Da parte sua, Netanyahu puntava a un proseguimento della prima fase, con l’ulteriore liberazione di ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi, ma senza la conclusione del conflitto o il ritiro dei soldati, condizioni che rischiavano di far cadere il suo esecutivo per la dura opposizione dell’estrema destra. Per fare pressioni su Hamas, Tel Aviv aveva interrotto l’ingresso degli aiuti e tagliato l’elettricità nella Striscia. 

Gli Usa hanno cercato di ottenere l’estensione della tregua fino a dopo il Ramadan e la Pasqua ebraica, ma i colloqui in Qatar si sono conclusi nei giorni scorsi con un nulla di fatto e l’inviato Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha stigmatizzato la risposta “totalmente inaccettabile” di Hamas.