Eastern Suburbs di Sydney e, in particolare Bondi, sono diventati l’incubatore perfetto per il Coronavirus e lo dimostra il numero di contagi di backpackers e il numero di test effettuati, o, almeno, di quelli che lo hanno richiesto: sarebbero oltre cento in un solo giorno. L’impatto che quest’area, uno spicchio di spiaggia e sabbia, ha avuto nell’impennata epidemica del NSW è incredibile. E il perché è tutto racchiuso nella composizione della popolazione che anima uno dei quartieri più ‘in’ di Sydney: giovani e backpackers. 

Già nei giorni precedenti all’esplosione dei contagi e alla chiusura della spiaggia a causa del totale disprezzo verso le imposizioni governative - non più di cinquecento persone in un luogo pubblico - e dell’osservanza della distanza sociale, a Bondi si temeva il peggio. 

Sui social, infatti, spopolavano commenti e ansie e di giovani italiani che hanno fatto di Bondi la loro nuova casa. Quando è stata introdotta la forse tardiva quarantena per chi arrivava, la lamentela era sempre la stessa: “La mia coinquilina (o il mio coinquilino) rientra dall’Europa e farà la quarantena a casa…”, dove per casa si intende una delle tante, tantissime, affollate share-house che gruppi di giovani condividono per risparmiare sugli affitti, spesso proibitivi, di quella zona. Un solo bagno, una sola cucina, per cinque anche sei persone, stanze spesso condivise sovraffollando appartamenti o case in prossimità della spiaggia o del centro. Tutto ok ma, in tempi di quarantena, queste abitazioni sono diventate degli incubatori per il virus. A questo va aggiunto che Bondi è la zona che gli italiani di nuova generazione, e più in generale gli europei, hanno scelto come area dove stabilirsi. 

Questo fa si che la comunità sia molto coesa e che, come accaduto per chi arrivava qui negli anni cinquanta e sessanta, ci si conosca tutti. E ci si frequenti tutti. Al bar o a una delle tante pizzerie o ristoranti italiani che negli ultimi anni hanno aperto, soprattutto nell’area di North Bondi e Bondi Beach, poco importa.

La comunità di giovani emigrati vive a stretto contatto. Per questo, ad esempio, molti dei presenti al party che è finito su tutte le cronache per essere stato atteso anche da qualcuno poi risultato positivo al virus, erano italiani. E, con ogni probabilità, la catena di positivi al test si allargherà ancora di più fra gli emigranti del Bel Paese, già nei prossimi giorni. 

A tutto questo va aggiunto il paradosso climatico che ci ha visto vivere una delle peggiori estati di sempre, sia a causa degli incendi, sia per le temperature non proprio estive, e che ha regalato giornate di caldo e di sole proprio mente il virus si insinuava nella bella e soleggiata Bondi Beach, ma non sono state da meno Tamarama, Bronte e Maroubra, con il risultato di riversare migliaia e migliaia di persone sul litorale. Molti rientrati anche da zone a rischio o in contatto con loro.

Infine, e questa è la parte peggiore della vicenda e quella che da più da pensare, è la non curanza delle fasce più giovani della popolazione che, nei confronti del virus, hanno assunto una posizione quantomeno di superficialità. Non è difficile trovare sui sociali, senza nemmeno bisogno di passarli al setaccio con la lente di ingrandimento, quarantene condivise trasformate in party che vanno live su Facebook con tanto di dj e musica. O, ancora peggio, giovani in spiaggia (fra l’altro chiusa) che, pur essendo sapendo di essere stati esposti al possibile  contagio, invece di isolarsi per prevenire il propagarsi del virus, postano selfi utilizzando beffardi hashtag: beachismyhome (la spiaggia è la mia casa).