Ci sono periodi in cui tutto sembra andare per il verso sbagliato. Perfino quando arriva il bonus dei prezzi delle materie prime ad assicurare un secondo attivo di bilancio (dopo i 22,1 miliardi del 2022-23, lunedì sono stati confermati i 15,8 miliardi di dollari per il 2023-24) il governo non riesce a riprendere in mano l’iniziativa: i riflettori rimangono infatti puntati su divisioni, proteste e l’incapacità di trovare una linea precisa da tenere su un tema che dovrebbe rimanere alla periferia del dibattito politico nazionale. Ed invece prima il discorso alle Nazioni Unite del ministro degli Esteri Penny Wong, poi le manifestazioni di protesta pro-palestinesi con bandiere di Hezbollah e immagini del suo leader ucciso dai bombardamenti israeliani in Libano, hanno aperto la porta a nuove critiche sull’operato del primo ministro Anthony Albanese.
Il suo governo è in chiare difficoltà sul tema Israele dopo gli attentati di un anno fa a Gaza, che hanno dato il via a una carneficina continua e a divisioni senza precedenti all’interno di questo paese. E, a complicare ulteriormente queste giornate infuocate per Albanese, Chalmers, Wong e l’intera squadra laburista, sono arrivati i commenti-minacce a sorpresa del presidente di Timor Est, Jose Ramos-Horta, che ha paragonato il primo ministro “al padrino che dimentica il suo figlioccio e non lo va mai a trovare” al punto che, il “figlioccio” (il governo di Timor Est) comincerà a parlare con imprenditori cinesi o del Kuwait per portare avanti lo sviluppo dei depositi di gas e petrolio del progetto Greater Sunrise, se l’Australia non appoggerà l’opzione preferita da Dili del gasdotto e oleodotto che dovrebbe arrivare fino alla costa meridionale dell’Isola-Stato.
Ramos Horta, che sarà in missione la prossima settimana, ha dichiarato che Canberra sta guardando a Timor Est solo da un lato economico invece di considerare la giovane nazione come parte integrante della sua “sicurezza nazionale e un’area di interesse strategico”. Se non fosse stato così, ha continuato il presidente, l’Australia avrebbe investito molto di più a Timor Est e non l’avrebbe sostenuta solo attraverso il programma degli aiuti esteri. “E Anthony Albanese - ha continuato Ramos-Horta - ci avrebbe fatto visita in più occasioni e non avrebbe mandato regolarmente a fare le sue veci il ministro degli Esteri Penny Wong, che ci piace come persona ma non è il capo di governo”.
Bordate di avvertimento quindi per cercare di forzare la mano a Canberra per un progetto sul quale ha già puntato gli occhi Pechino e che dovrebbe aiutare il Paese ad uscire dalla profonda crisi economica dovuta alla cattiva gestione dello stanziamento miliardario per lo sviluppo Petroleum Fund. Non le manda a dire Ramos-Horta che sottolinea quanto già successo in alcune isole del Pacifico che, sentendosi abbandonate dall’Australia, hanno dato il via libera ad investimenti cinesi per le loro infrastrutture. Dal fronte dell’opposizione lo stesso Albanese aveva puntato il dito sul presunto disinteresse di Scott Morrison per le strategicamente pericolose scelte forzate dalla disattenzione di Canberra, ma ora è lui nel mirino e Pechino e Kuwait City stanno seguendo con interesse le prossime mosse di Dili, con le coste australiane a solo circa 600 chilometri di distanza.
Niente da salvare sull’intervento di Wong a New York, considerato da molti osservatori, superficiale e semplicistico sulla questione palestinese, con un ‘quasi ultimatum’ sulla soluzione dei due Stati, come se il problema stesse solo aspettando le considerazioni dell’Australia per poter essere risolto dopo decenni di discussioni, proposte, tentativi su scala mondiale. Una non analisi che ha fatto infuriare gli israeliani e non ha di certo convinto i palestinesi. Un messaggio che, una volta di più, mette in evidenza le insicurezze e i tormenti ideologici dei laburisti su questo tema, fattori che, come ha fatto osservare il leader dell’opposizione Peter Dutton, purtroppo, non fanno altro che alimentare odii e tensioni anche all’interno del Paese. Critiche anche ad Albanese per aver evitato critiche dirette ai sostenitori di Hezbollah (anche se, ovviamente, ha condannato le proteste – P11) che sono scesi in piazza a Melbourne, Sydney e Brisbane con bandiere e slogan non degni di una nazione che condanna il terrorismo e i gruppi che lo sostengono e, alla fine, sembra non trovare mai il coraggio di mettere in pratica fino in fondo principi e regole protetti per legge.
Un mare di proteste quindi con i prevedibili facili attacchi da parte della Coalizione di un governo alle prese con profonde divisioni interne e timori esterni, che continua a fare scelte politiche nel tentativo di accontentare tutti e minimizzare i rischi dal punto di vista politico, dati i numerosi seggi in palio (specie nei sobborghi occidentali di Sydney e Melbourne) con una forte presenza di elettori di fede islamica, pronti a rivolgere le loro intenzioni verso nuovi indipendenti che, a loro dire, li possono rappresentare meglio a Canberra. Nel mirino collegi laburisti anche di peso, come quelli del ministro dell’Interno Tony Burke (Watson) e del responsabile dell’Istruzione, Jason Clare (Blaxland), che hanno una enorme componente di votanti musulmani (31,7% per cento il primo e 25% il secondo).
Burke quindi chiede ‘punizioni’ esemplari per gli sbandieratori pro-Hezbollah, Clare invece non si sbilancia in commenti e strategie di difesa anche perché, probabilmente, ritiene che quel cuscinetto del 14.7% di voti del 2022 possa fare da scudo a qualsiasi tipo di disappunto o arrabbiatura. Il Muslim Vote però sta diventando una realistica possibilità con una discesa in campo di indipendenti in stile ‘teal’ non solo in alcuni collegi di Sydney, ma anche a Melbourne e nel Western Australia. Nella politicamente inquieta area di Western Sydney intanto, già annunciata una nuova sfida che vede fare squadra, per ora, il sindaco di Fairfield, Frank Carbone e il rappresentante indipendente del seggio di Fowler, Dai Le che uniranno le loro forze sotto l’egida del Western Sydney Community che sta attirando l’attenzione anche del sindaco di Liverpool, Ned Mannoun.
Sempre sulla questione di Israele, Albanese ieri ha cercato di anticipare nuove possibili tensioni invitando la polizia del New South Wales a prevenire, nei limiti del possibile, manifestazioni in occasione dell’anniversario della strage di Gaza del 7 ottobre.
Intanto i dati su un secondo surplus, confermato lunedì scorso, ha invece messo a confronto due diverse interpretazioni della ‘buona notizia’. Per Chalmers, ovviamente, il secondo attivo consecutivo è la prova che, nonostante le mezze critiche della Reserve Bank e quello di rito dell’opposizione, oltre alle difficoltà internazionali, il governo sta gestendo la situazione sul fronte delle spese con il rigore necessario e i soldi in cassa in più non sono un caso. Diversa la lettura della Coalizione che preferisce sorvolare sul presente e guardare un po’ indietro e un po’ in avanti. Come sempre quindi commenti e considerazioni che lasciano opportunamente da parte qualche particolare scomodo: nessuna menzione, quindi, da parte di Chalmers sul fatto che il “trilione di debito lasciato in eredità” dalla precedente amministrazione non esiste, dato che i dati dell’ufficio di statistica confermano un debito di ‘soli’ 491,5 miliardi per il 2023-24 o 18,4% del Pil. Dutton pronto quindi a rivalutare il lavoro fatto da Josh Frydenberg e di invitare tutti, invece, a non farsi illusioni sulla ‘buona gestione’ laburista in quanto (in base alle previsioni dello stesso ministro del Tesoro) il bilancio per l’anno corrente farà registrare un passivo di 28,3 miliardi, perché il boom post Covid si sta rapidamente esaurendo.
Letture di comodo e forti tentazioni in casa laburista, secondo voci che preferiscono mantenere l’anonimato, di evitare un altro budget prima delle urne e di usare come trampolino di lancio per le elezioni a marzo (invece di maggio) la mini-manovra di metà anno (Mid-Year Economic and Fiscal Outlook) per la quale Chalmers e il ministro delle Finanze, Katy Gallagher, sono già al lavoro. Rientra sicuramente nella strategia contemplata anche il previsto (ma mai confermato dalla governatrice della RBA, Michele Bullock) taglio dei tassi d’interesse in febbraio, nella prima riunione della Banca centrale del nuovo anno. Sarebbe un bonus elettorale di indubbio peso per il governo sul quale però non potrà contare con sicurezza al momento di indire le elezioni se, effettivamente, si voterà all’inizio e non verso la fine dell’autunno.