ROMA - “Il 7 luglio 1983 un uomo, che sarà poi soprannominato l’Amerikano, telefonò a casa Orlandi e disse di essere il rapitore di Emanuela. Come prova, fornì un indizio molto intimo sulla ragazzina che conoscevano solo poche, pochissime persone. Disse infatti, testualmente: ‘A tua ragazza piace un ragazzo di nome Alberto che ora fa il militare’. Era un indizio vero”. Lo riporta un settimanale in questi giorni in edicola, ricordando che “Emanuela aveva una cotta per il suo compagno di musica, Alberto, 19 anni, e lui ricambiava. E quando Emanuela scomparve, il 22 giugno 1983, lui stava effettivamente facendo il militare a Orvieto, da appena un mese”.
“La mamma di Emanuela confermò di aver saputo di questa simpatia. Emanuela qualche parola su di lui l’aveva detta, ma era una ragazzina piuttosto riservata. I carabinieri interrogarono Alberto il 20 luglio, e lui fornì un ulteriore fondamentale elemento che il settimanale pubblica in esclusiva (con i verbali dell’epoca): vero, era a Orvieto a fare il militare. Ma la sera del 22 giugno era a Roma in licenza. Era partito dalla cittadina umbra alle 17.30. Poi era stato a Ostia dai genitori. Alle 22.30 era stato ricoverato all’ospedale militare Celio, e ci era rimasto due notti”, sottolinea il settimanale. Sentito da quest’ultimo, Alberto spiega: “Dovevo togliere delle verruche da una mano. Comunque io e l’Emanuela non eravamo fidanzati”.
“Forse l’Amerikano sapeva anche di questo passaggio a Roma proprio la sera della scomparsa di Emanuela e ha provato a incastrarlo, gettando ombre e sospetti su di lui? Ma la domanda più inquietante è: chi era l’Amerikano e come aveva saputo di Alberto ‘che fa il militare’?”, si chiede il settimanale.
Intanto, la Stasi (il servizio segreto della Germania Est) ha avuto “un ruolo di regia” importante “se non esclusivo” nella vicenda di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa nel nulla il 22 giugno 1983 a Roma. Ne è convinto Ilario Martella, primo giudice istruttore (dal 1985 al 1990) dei casi di Orlandi e della coetanea Mirella Gregori, sparita un mese prima, che in un libro appena pubblicato (Emanuela Orlandi - Intrigo internazionale - La verità che nessuno ha ancora raccontato sul mistero più oscuro della storia italiana), racconta la sua verità su una delle vicende più oscure della storia italiana. “Una verità scomoda - scrive Martella -, molto difficile da essere recepita e che a oggi non ha trovato ingresso né nelle aule di giustizia né presso l’opinione pubblica, per l’effetto quarantennale dell’operazione di distrazione di massa operata dalla Stasi”.
Martella, che nelle scorse settimane rilanciò la pista internazionale anche nel corso di un’audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa delle due ragazze, è convinto che il destino di Emanuela e Mirella sia collegato con l’attentato al papa Giovanni Paolo II e un disegno di “distrazione di massa” dal caso del bulgaro Sergej Antonov, finito al centro delle indagini condotte dallo stesso Martella quale complice del turco Mehmet Ali Agca nel crimine di piazza San Pietro e alla fine assolto, insieme ad altri imputati.
Secondo la documentazione ripercorsa da Martella nel libro, la Stasi aveva ricevuto “nell’agosto del 1982 dalle autorità governative bulgare una pressante richiesta di collaborazione” per allontanare ogni sospetto di coinvolgimento dello stesso Stato bulgaro nell’attentato al Papa. All’epoca la politica, ripercorre Martella, era quella dello status quo e un vero o presunto coinvolgimento della Bulgaria nell’attentato al Pontefice avrebbe potuto rappresentare un rischio di “destabilizzazione” per l’intero blocco sovietico.