ROMA - “Un grande insuccesso investigativo”. Questo è stato il caso Orlandi-Gregori, secondo il generale dei Carabinieri, ex capitano del reparto di via in Selci della Capitale, Mauro Obinu, che lo ha ammesso con grande schiettezza, davanti alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle scomparse di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi. Obinu ha ricordato gli attori in campo all’epoca: non solo la Squadra mobile della Polizia e i carabinieri, ma anche il Sisde (“ricordo il nome di Giulio Gangi”), con un’attività complessiva che a suo parere non era ben coordinata venendo a mancare “un momento unitario” sotto la guida di un giudice istruttore.
E così in due ore d’audizione di fronte alla Commissione presieduta dal senatore Andrea De Priamo, Obinu ha dato la sua “personalissima” valutazione dei fatti: una pista sessuale su cui poi si sarebbe innestato un secondo livello, originato da un meccanismo sofisticato con un coinvolgimento possibile anche di servizi stranieri, tra cui non andrebbe esclusa la Stasi.
“Io - ha affermato - all’epoca iniziale delle indagini e mi riferisco fino alla comparsa di questi disturbatori di messaggistica, l’Amerikano, Pierluigi, Mario, il fronte Phoenix, il Turkesh, prima di tutta questa roba, io mi ero fatto terra-terra l’idea che la ragazzina fosse stata presa, con l’inganno magari, per motivi sessuali. Questa mia convinzione, basata anche sull’esperienza di qualche mio vecchio collaboratore dell’epoca, marescialli che avevano vissuto la grande criminalità romana degli anni ‘70, ‘80, erano le considerazioni che in ufficio si facevano ma senza trascurare nessuna pista”. “Poi - ha proseguito il Generale - l’avvento di quelli che io ho chiamato disturbatori ha creato una cappa informativa che non poteva e doveva essere trascurata, tant’è che vi erano delle affascinanti piste da perseguire. Ecco che io stesso mi sono calmato e mi sono detto: ‘Allora è possibile che si tratti di un intrigo internazionale, attesa anche la cittadinanza vaticana di Emanuela, il fatto dell’attentato al Papa del 1981, cioè si era in un contesto in cui ci poteva stare questo sequestro a fini non personali”. “Adesso dopo tanti anni - ha però aggiunto - sono tornato alla mia sensazione primigenia, cioè una cosa bruttissima di natura sessuale”.
A queste valutazioni, Obinu ha aggiunto il racconto di qualche episodio investigativo, come la missione andata a vuoto in Turchia tra “l’‘83 e l’‘84” per verificare una pista che voleva Emanuela e/o Mirella sequestrate e vive in un’isola della costa sud-occidentale della Turchia. Il militare ha poi ricordato lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi, come persona “molto proattiva” nel caso, ancora di più la figura dell’avvocato Gennaro Egidio: “attivissimo”, lo ha definito. A vuoto andò anche la segnalazione di Josephine Hofer Spitaler, una donna di Bolzano che si era fatta viva con gli inquirenti per segnalare di aver visto una coppia in auto con una ragazza con la fascetta che poteva assomigliare ad Emanuela. La cosiddetta “pista di Terlano”, un altro buco nell’acqua.