GERUSALEMME - La decisione di Trump di escludere Israele dal suo attuale viaggio in Medio Oriente è stata vista come un segnale chiaro della priorità data agli accordi commerciali con ricchi Paesi del Golfo, come il Qatar, accusato da tempo da Israele di sostenere Hamas.

Le tensioni erano già alte per i colloqui americani con l’Iran e per la scelta di Trump di interrompere i bombardamenti contro gli Houthi in Yemen, nonostante i continui attacchi missilistici del gruppo contro obiettivi israeliani.

La Casa Bianca ha poi negoziato direttamente con Hamas per liberare l’ultimo ostaggio americano a Gaza, Edan Alexander, lasciando Israele a guardare da bordo campo. Benjamin Netanyahu ha ringraziato Trump per il rilascio di Alexander, ma il malcontento cresce: Israele teme di essere stato abbandonato, proprio mentre è sotto pressione per la guerra a Gaza e il mancato accordo con l’Arabia Saudita.

Trump ha anche annunciato la fine delle sanzioni alla Siria, auspicando una normalizzazione dei rapporti con un regime che Israele considera jihadista. E, proprio negli stessi momenti in cui Trump parlava da Riad, rivendicando il merito per la tregua con gli Houthi, le sirene antiaeree hanno cominciato a risuonare a Gerusalemme e Tel Aviv per l’arrivo di un missile dallo Yemen.

Con Netanyahu sotto processo per corruzione, e pressato dalle ali più estreme del suo governo, il divario con Washington sembra sempre più evidente. Secondo l’ex funzionario americano Jonathan Panikoff, Trump privilegia “un’agenda basata su scambi e investimenti”, anche se ciò significa lasciare indietro Israele.