Una cosa è certa: il ministro dell’Energia e dei Cambiamenti climatici Chris Bowen ci crede fino in fondo e non è disposto a farsi distrarre da niente e da nessuno. Non ci sono nuovi dati a distogliere la sua attenzione sulla sua ‘missione’, non ci sono ‘prove’ matematiche di impossibilità di raggiungere i traguardi prefissati che lo possano scoraggiare, non ci sono alternative (grazie anche ai tormenti della Coalizione), ma soprattutto non ci sono dubbi sul suo piano di decarbonizzazione del Paese: avanti tutta, quindi, senza sconti e deviazioni per portare avanti una sfida autoimposta, almeno per ciò che riguarda i tempi e le ambizioni.

Se qualcuno, numeri alla mano, gli fa notare che sarà estremamente difficile poter raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 43% entro il 2030, il ministro non fa una piega e assicura che il processo è ben avviato.

 Ammette che gli ostacoli ci sono, ma saranno opportunamente aggirati con gli strumenti a disposizione per poter raggiungere il traguardo prefissato dell’82% della produzione elettrica, garantito dalle energie rinnovabili, entro la fine del decennio.

La transizione energetica verso un'economia a basse emissioni di carbonio, fondata per l’appunto su fonti ‘pulite’, è vista dall’attuale governo non solo come una necessità ambientale, ma come una chiave per la prosperità economica futura del Paese.

Attualmente, le rinnovabili costituiscono circa il 40% della rete, rendendo evidente quanto resta ancora da fare. Bowen, l’ha ammesso, ma ha ribadito la necessità di insistere e potenziare, quanto necessario, gli strumenti già attivati per raggiungere gli obiettivi che rimangono inalterati: il New Vehicle Efficiency Standard (NVES); Il meccanismo di salvaguardia per le grandi industrie inquinanti; Il Capacity Investment Scheme, che incentiva la produzione energetica da fonti verdi; gli sgravi fiscali e gli incentivi per i veicoli elettrici; Il programma Cheaper Home Batteries, per promuovere l’installazione domestica di dispositivi di accumulo energetico.

Il sistema funziona, ha assicurato il ministro dei Cambiamenti climatici, ma gli effetti tangibili si vedranno solo nel medio periodo. Secondo Bowen, infatti, entro il 2028 le politiche saranno ormai consolidate, e difficilmente modificabili, e potranno incidere significativamente sulle emissioni del 2030. “Pertanto – ha spiegato -, ogni decisione presa oggi è fondamentale per quell’accelerazione che ci permetterà di raggiungere il traguardo prefissato”.

Così - nonostante i dubbi degli osservatori dettati dalla realtà dipinta dai dati ufficiali, dalle proteste e rallentamenti per la creazione di nuovi parchi eolici, dalla lenta riduzione delle emissioni -, la squadra Albanese sta cercando di finalizzare il prossimo passo da inserire nel programma di governo, sfruttando le difficoltà in materia che sta incontrando la Coalizione con i suoi mille tormenti interni non solo sui traguardi di tappa, ma addirittura sul traguardo finale delle emissioni nette zero del 2050. Esecutivo al lavoro, quindi, per stabilire l’obiettivo-tagli per il 2035, che si prevede sarà di almeno il 65%, con una possibile estensione al 75%. La Climate Change Authority (CCA) sta esaminando queste opzioni e dovrebbe finalizzare la proposta a breve.

Molte aziende e leader industriali – tra cui Atlassian di Mike Cannon-Brookes, Fortescue di Andrew Forrest e Canva (nuove tecnologie) con la sua direttrice e co-fondatrice, Melanie Perkins – si sono espressi a favore di un target del 75%, sostenendo che un obiettivo più ambizioso sbloccherebbe 20 miliardi di dollari all’anno in investimenti, aumenterebbe il pil di 370 miliardi entro il 2035 e creerebbe 69.000 nuovi posti di lavoro ogni anno per i prossimi dieci anni.

Tuttavia, non tutti condividono questo ottimismo. Alcuni esperti sottolineano che l’Australia non è sulla buona strada nemmeno per il 43% del 2030, considerando che le emissioni sono calate solo dell’1,4% nell’ultimo anno, raggiungendo un totale del 28% rispetto al 2005. Per colmare il divario nei prossimi 52 mesi, il ritmo di riduzione dovrebbe più che raddoppiare e nessuno, tranne il ministro dell’Energia, lo ritiene possibile.

Un aspetto cruciale del procedere, che Bowen ha riconosciuto come debolezza del governo, è la scarsa consultazione con le comunità locali, specialmente nelle aree regionali interessate da progetti eolici e solari su larga scala. Per contrastare la crescente opposizione, il ministro ha chiesto alle aziende coinvolte nei progetti di sviluppo di impianti di offrire sconti sulle bollette alle famiglie che vivono vicino ai nuovi parchi per la produzione di energia rinnovabile.

Bowen ha fatto una distinzione importante tra le preoccupazioni legittime delle comunità locali e il “rumore” generato da campagne di disinformazione alimentate, a suo dire, da negazionisti climatici o gruppi anti-rinnovabili. "Mi interessa ascoltare e capire chi è direttamente coinvolto”, ha detto il ministro, ma non bisogna lasciarsi influenzare da chi si oppone a questo tipo di sviluppo per pura ideologia.

Bowen ha ribadito che il piano del governo è chiaro: si basa su solare, eolico, batterie e idrogeno verde, escludendo qualsiasi futuro legato all’energia nucleare e ai combustibili fossili. Tuttavia, ha ammesso che il gas naturale avrà ancora un ruolo nel breve e medio termine, in particolare per il settore industriale e come supporto alle rinnovabili nei momenti di picco dei consumi. Nonostante ciò, il gas non sarà incluso nel Capacity Investment Scheme.

Il ministro ha anche confermato che il governo non introdurrà un prezzo nazionale sul carbonio, preferendo puntare su incentivi e regolamenti specifici per settore. Inoltre, ha evidenziato la necessità di nuove tecnologie per abbattere le emissioni in agricoltura, un settore particolarmente difficile da decarbonizzare.

Ottimismo quindi senza sbavature, nonostante i se e i ma, mentre continua anche il lavoro di Canberra sul fronte dell’immagine, di poter mettere in vetrina quanto di buono fatto e quanto di buono si intende fare, insistendo sull’avere l’opportunità di ospitare la conferenza ONU COP31 sul clima nel 2026, in collaborazione con i paesi del Pacifico. Una candidatura forte, ostacolata però dalla concorrenza della Turchia, che si rifiuta di ritirarsi dalla ‘corsa’. Bowen ha avvertito che, in caso di stallo (per ottenere il via libera bisogna ottenere un consenso ‘globale’ e la Turchia aveva già complicato la candidatura della Gran Bretagna nel 2021, ma si era poi fatta da parte grazie ad un ‘incentivo’ milionario del governo Johnson), la conferenza si terrà automaticamente a Bonn, sede già designata in caso di mancato accordo. La decisione finale sarà presa a Belem, in Brasile, alla COP30 di novembre. A causa di ‘regole geografiche’ in caso di impasse forzato da Ankara, l’Australia dovrà aspettare altri cinque anni prima di poter presentare una nuova candidatura, perdendo così un’importante occasione di leadership globale sul clima.

Tra le difficoltà che Bowen deve affrontare per portare avanti i suoi obiettivi strategici nella corsa alla decarbonizzazione spicca il settore dei trasporti. Il governo ha introdotto incentivi fiscali generosi per i veicoli elettrici, la cui popolarità è salita oltre alle previsioni iniziali. Il ministro, forte di questa realtà, ha escluso modifiche a questi incentivi (anche se l’attuale spinta per l’introduzione di una nuova tassa per l’uso della rete stradale potrebbe rimettere in discussione il mini-boom)  e ha respinto le critiche secondo cui il NVES aumenterebbe i prezzi delle auto a benzina.

Sul fronte normativo, il governo sta invece accelerando una riforma dell’Environment Protection and Biodiversity Conservation Act (EPBC), con l’obiettivo di semplificare le approvazioni per progetti rinnovabili e minerari, pur rafforzando la tutela ambientale. La volontà è di ottenere un accordo bipartisan con la Coalizione, evitando di dipendere dai verdi.

Secondo il ministro dell’Ambiente Murray Watt, la riforma della normativa ambientale è una condizione necessaria per sostenere obiettivi climatici più elevati, in quanto consentirebbe una realizzazione più rapida dei grandi progetti energetici.

Per Bowen quindi un avanti tutta senza distrazioni e qualsiasi tipo di ripensamento o aggiustamento di rotta nel procedere ad un passo di corsa che non molti Paesi riescono a tenere. Per il ministro (ed evidentemente per l’intera squadra di governo che non dà alcun segno di preoccupazione in proposito) il cambiamento climatico è strettissimamente legato alla crescita economica e ritardi, resistenze sociali, incertezze normative, sfide tecnologiche, numeri che non tornano,  sono indubbi ostacoli da superare con opportuni investimenti supplementari, una maggiore attenzione a raccogliere consensi pubblici (in questo caso quelli elettorali non bastano) e appoggi politici (quindi dialogo con gli indipendenti dato che per i verdi qualsiasi traguardo non è mai abbastanza) nei prossimi mesi per andare oltre al 2030 e mirare ancora più in alto per il 2035. Il militante Bowen, come sempre, non ha dubbi: “Se sbagliamo, sarà un’enorme occasione mancata per il nostro Paese”. Ma politicamente anche per la Coalizione, che su questo tema non riesce mai a guadagnarci nulla, presa com’è dalle sue divisioni e da una completa mancanza di convinzioni su qualsiasi tipo di alternativa da offrire per frenare la corsa a testa bassa laburista, con i costi sempre maggiori delle bollette e sempre meno garanzie sull’affidabilità della rete energetica.