Tre settimane fa il primo atto della resa: l’ha recitato il ministro del Tesoro, Jim Chalmers, dichiarando che l’Australia non era nelle condizioni di rispettare i suoi obiettivi sul fronte dei cambiamenti climatici.
Un’ammissione al riguardo dei ritardi accumulati sui tempi della transizione energetica: “Ambizioni impossibili da soddisfare se non si fa qualcosa di più per assicurarsi energia rinnovabile sufficiente a soddisfare le esigenze del Paese”.
Un messaggio chiaro e semplice: non ci siamo con il passaggio dall’energia generata dai combustibili fossili a quella prodotta utilizzando sole e vento.
Gli obiettivi - che sono stati racchiusi in una delle prime leggi introdotte lo scorso anno dal neoeletto governo Albanese - di una riduzione delle emissioni del 43 per cento, rispetto ai valori del 2005, entro il 2030 per arrivare allo zero netto del 2050 richiedono un’accelerazione per raggiungere una produzione di energia pulita che copra l’82 per cento del fabbisogno nazionale.
Questo secondo obiettivo del progetto ambientale affidato a Chris Bowen non rientrava nella legge annunciata, ma è il risultato di un calcolo matematico, che sviluppa in termini pratici la promessa elettorale portata in Parlamento.
Una conseguenza dell’obiettivo del 43 per cento di tagli di veleni sprigionati nell’atmosfera che, al passo attuale, non potrà essere raggiunto. Anche se il governo si guarda bene dall’ammetterlo. Politicamente, infatti, non può farlo ma, grazie alle almeno due elezioni che lo separano dagli impegni autoimposti, può permettersi il lusso di continuare a prometterlo.
Può anche (e lo sta facendo) parlare degli imprevisti che stanno rendendo il cammino verso quota 43 dei tagli delle emissioni e 82 della produzione di energia pulita sempre più complicato, come: la guerra in Ucraina che ha scatenato un’impennata inflazionistica che non si registrava dagli anni ’80 del secolo scorso; l’annuncio di Joe Biden dei finanziamenti miliardari in campo ambientale che hanno attirato massicci investimenti internazionali in campo energetico; gli alti tassi d’interesse che hanno frenato i piani di molte aziende del settore delle rinnovabili; le proteste dei ‘residenti’ nelle aree designate per lo sviluppo di impianti eolici e solari, abbinati ai costi per le linee di trasmissione e accumulo dell’energia.
E così siamo arrivati al secondo atto di una resa (si tratterebbe del ridimensionamento di un progetto sicuramente valido e necessario) che il ministro dell’Energia e dei Cambiamenti climatici (Bowen) si rifiuta categoricamente di dichiarare, anche se evitarla diventa ogni giorno più difficile.
Ecco allora, il piano di rilancio annunciato la scorsa settimana, con solo un’altra serie di ammissioni delle difficoltà “che - dice Bowen - non sono mai state nascoste”, perché il passaggio di una produzione energetica basata sulle rinnovabili dal 35 all’82 per cento non è mai stato considerato facile o scontato.
Ma, nonostante tutti i numeri contro che fanno alzare le quote dell’improbabilità che il traguardo possa essere raggiunto, il ministro ostenta ottimismo e spiega che bisognerà adottare nuove misure più efficaci per arrivare dove si vuole arrivare.
Per farlo (e lo suggeriscono anche la Commissione produttività e l’Ocse, l’Organizzazione mondiale per lo sviluppo economico) bisogna ampliare il campo d’azione, espandere cioè le penalizzazioni, che attualmente sono imposte solo ai grandi inquinatori (che producono più di 100mila tonnellate di gas serra l’anno), anche ad aziende con volumi di emissioni più bassi.
Aziende che però passerebbero i costi dei nuovi sacrifici imposti ai consumatori. Una soluzione che fa un po’ a pugni con l’altro traguardo del governo: quello di abbassare il costo della vita, combattendo l’inflazione.
Per questo Bowen ha pensato e annunciato di coinvolgere un po’ tutti nella nuova spinta ambientale, aumentando i sussidi federali per ampliare il già esistente Capacity Investment Scheme (CIS) – piano per incentivare gli investimenti -, in partnership con Stati e Territori esclusivamente per progetti che riguardano nuovi impianti eolici e solari e di stoccaggio di energia.
Zero soldi invece per il gas che Albanese ha sempre ‘difeso’, considerandolo un prodotto essenziale per la ‘transizione’ energetica. Un piano di sviluppo accelerato, con ritorni finanziari garantiti dai contribuenti per nuovi investimenti.
Asticella fissata in partenza, con tetti di profitti prestabiliti e assicurati da Canberra: se si va oltre, condivisione delle entrate extra. Rischi zero, insomma, per le aziende e un imprecisato pacchetto milionario per evitare a tutti i costi la resa.
Progetto senza costi prefissati perché è tutta da vedere l’adesione, quelli che saranno i traguardi pattuiti, caso per caso, da raggiungere sia in campo produttivo sia per ciò che riguarda i profitti preventivati: unica certezza l’ostinato raggiungimento di quell’82 per cento di rinnovabili che la nuova legge - con la quale il governo Albanese ha voluto tracciare una chiara linea di separazione con la scarsa convinzione ambientale della Coalizione - impone, per arrivare agli ambiziosi traguardi dei tagli delle emissioni messi in agenda per il 2030.
Bowen o ci crede davvero o semplicemente non può più tirarsi indietro e conta sul cuscinetto delle due o tre elezioni per un’avanti tutta che dovrà fare i conti anche con: la resistenza sul territorio degli agricoltori (che stanno pianificando una serie di manifestazioni di protesta dato che gli impianti solari ed eolici li riguardano da vicino) e degli abitanti delle zone costiere interessate ai parchi eolici offshore; l’indubbia precarietà della stabilità e garanzia dell’erogazione di energia da fonti rinnovabili nei periodi di picco della domanda; la perdita di posti di lavoro nel settore minerario prima del promesso ‘boom’ di un’Australia ‘leader mondiale delle nuove tecnologie ambientali’.
Le divisioni in campo energetico sono tutt’altro che finite, con la nuova variante del nucleare, sponsorizzata dalla Coalizione, pronta ad entrare su un campo da sempre minato, che ha enormemente contribuito al declino elettorale, e susseguente bocciatura interna o alle urne, di: Kevin Rudd (abbandonato dagli elettori e dal partito dopo il ritiro del piano energetico imperniato sulla borsa delle emissioni), Julia Gillard (per la promessa non mantenuta che non avrebbe introdotto una tassa sul carbonio), Tony Abbott (da sempre nel mirino per il suo scetticismo climatico), Malcolm Turnbull (la sfida lanciata da Dutton ha fatto perno sulla perdita di consensi alimentata dalle divisioni legate ad un raffazzonato piano energetico) e Scott Morrison (con la lotta ai cambiamenti climatici che ha indubbiamente recitato una parte di peso nella campagna del 2022).
Albanese e Bowen sono avvertiti: quando si parla di energia, nulla finisce, tutto si trasforma... in un altro dibattito.