ANKARA - La sanzione, annunciata peraltro via Twitter dal viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Omer Fatih Sayan, è di 10 milioni di lire turche a testa, (poco più di un milione di dollari).
Se i social network continueranno a non adeguarsi alla legge di Ankara, sono previste un’ulteriore multa di 30 milioni di lire turche entro inizio dicembre e uno stop alla pubblicità entro inizio gennaio. In caso di ulteriori resistenze, si potrebbe arrivare entro la metà del prossimo anno a una riduzione della larghezza di banda fino al 90%, equivalente a un sostanziale oscuramento nel Paese.
Oltre alla nomina di un rappresentante legale, responsabile dei contenuti e della loro eventuale rimozione su richiesta dell’autorità giudiziaria, la legge prevede per i social con oltre un milione di visitatori unici al giorno che i dati degli utenti siano catalogati in server locali, sollevando timori di violazioni della privacy.
La riforma è stata fortemente voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan, che, nonostante la grande popolarità sui social media, non ha mai risparmiato critiche a questi strumenti di comunicazione.
Le associazioni per i diritti civili sono tornare a denunciare il contenuto della normativa, definito un ulteriore colpo alla libertà d’espressione in un Paese in cui gran parte dei media tradizionali è nelle mani di gruppi filo-governativi.
“È impossibile in un Paese come la Turchia sopprimere i social network, che fanno talmente parte della vita della gente”, sostiene la direttrice di Human Rights Watch nel Paese, Emma Sinclair-Webb, secondo cui il vero obiettivo è “mettere a tacere le contestazioni e bloccare i flussi d’informazioni” indipendenti.
Secondo quanto riporta l’osservatorio specializzato per la difesa della libertà d’espressione in Turchia EngelliWeb, solo nel 2019 il governo aveva già bloccato l’accesso a 408 mila siti internet e oscurato 40 mila tweet, 6.200 post su Facebook e 10 mila video su YouTube.