ROMA - Da ieri la Diciottesima legislatura nata dalla strana alleanza tra M5s e Lega e interrottasi bruscamente in pieno agosto con la crisi scatenata da Matteo Salvini ha ripreso ufficialmente il suo corso, dopo aver tenuto tutta l’Italia con il fiato sospeso per un mese.
La Terza Repubblica, così ribattezzata a giugno del 2018 dagli artefici della sua fondazione, sopravviverà dunque ai colpi di mano del leader del Carroccio, grazie allo scudo, non più crociato ma quasi, del Partito Democratico, che pur di farla sopravvivere l’ha riaggiustata rispolverando i vecchi arnesi della Prima.
E così, come il Conte I aveva rappresentato la nascita della Terza Repubblica, il Conte II potrebbe anche essere definito oggi una sorta di Prima Repubblica bis.
A celebrarne la rinascita è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che mentre andiamo in stampa sta ricevendo al Quirinale il premier incaricato Giuseppe Conte, pronto a sciogliere davanti al capo dello Stato la propria riserva e a riprendere su di sé la carica di Presidente del Consiglio della nuova maggioranza Pd-M5s-LeU.
Nel farlo, il premier Conte ha portato a Mattarella prima di tutto il programma di governo, o almeno una sua bozza, ulteriormente ridefinita nelle ultime ore, e i cui tratti salienti abbiamo pubblicato a pagina 4 e poi l’elenco dei possibili ministri. Se tutto è filato liscio come si prevede, quando qui in Australia sarà già giovedì mattina, la squadra di governo dovrebbe aver appena giurato nelle mani del capo dello Stato.
Al momento è per noi impossibile conoscere i nomi di quelli che saranno i ministri del nuovo esecutivo Conte, ma quel che è certo è il fatto che da quando Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti si sono accordati sull’eliminazione della figura dei vicepremier, la discussione sulle persone che dovranno ricoprire gli incarichi di governo più importanti è potuta iniziare ufficialmente.
Una discussione che è andata avanti per gradi, prima con la suddivisione numerica dei ministeri per ciascun partito, e poi con la rosa dei papabili candidati per ogni dicastero. A sciogliere l’ultimo nodo rimasto, quello del sottosegretario di Palazzo Chigi, colui che dovrà lavorare a stretto contatto con Conte, pare sia stata la rinuncia da parte del Pd, anche per l’espressa volontà del premier di avere accanto un uomo con il quale avere una forte intesa, in discontinuità con quanto accaduto in precedenza con Giancarlo Giorgetti. In cambio però i dem avranno lo stesso numero di ministeri del M5s, anche se il loro peso specifico in Parlamento vale più o meno la metà dei pentastellati.
E parlando di numeri, il governo Pd-5 Stelle dovrebbe verificare la propria consistenza entro il fine settimana, con un passaggio in entrambe le Camere per la fiducia. Sarà forse questo il momento più tranquillo dell’intero percorso, visto che stando ai calcoli la maggioranza a Montecitorio avrebbe, solo con i voti dei due partiti più grandi e di LeU, 341 deputati sui 316 necessari. Più risicata ma abbastanza sicura anche l’asticella di Palazzo Madama, visto che oltre ai 162 senatori di Pd, M5s e LeU, il governo dovrebbe ottenere la fiducia anche da altri 7 rappresentanti tra Autonomie e Gruppo Misto, portando il totale della maggioranza a 169. E senza contare i senatori a vita. LME