TEL AVIV - Ufficialmente annunciato il cessate il fuoco tra Israele e Hamas dovrebbe portare una temporanea speranza di tregua in una regione martoriata da un conflitto che dura ormai da 15 mesi.

L’accordo, frutto di negoziati mediati da Egitto, Qatar e Stati Uniti, doveva entrare in vigore alle 17.30 di domenica 19 gennaio (orario costa est australiana), segnando una possibile svolta nella crisi mediorientale. La tensione si è mantenuta altissima, con il primo ministro israeliano che ha minacciato per tutta la giornata, anche dopo la scadenza dell’orario in cui la tregua sarebbe dovuta iniziare, di far saltare l’accordo per non aver ricevuto da Hamas la lista completa con i nomi degli ostaggi che sarebbero stati liberati.

Finalmente la lista è stata consegnata e il cessate il fuoco è entrato ufficialmente in vigore.

Il piano è strutturato in tre fasi. Durante la prima fase, che durerà sei settimane, è previsto il rilascio di 33 dei 98 ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas, in cambio della liberazione di circa 2000 prigionieri palestinesi, inclusi membri di gruppi militanti.

La Croce Rossa avrà un ruolo cruciale nel trasferimento degli ostaggi e dei prigionieri, con il primo scambio programmato per le 4 di pomeriggio di ieri (ora locale).

Israele, nel frattempo, inizierà a ritirare parte delle sue forze da alcune aree della Striscia di Gaza, permettendo a migliaia di palestinesi sfollati di ritornare nelle loro case. Tuttavia, permangono forti dubbi sulla stabilità dell’accordo, data l’assenza di un piano chiaro per la ricostruzione e il futuro politico di Gaza. 

Il contesto resta particolarmente complesso, con un conflitto che, dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, ha assunto proporzioni drammatiche con la violenta risposta del governo Netanyahu che ha trasformato Gaza in un cumulo di macerie.

Proprio il primo ministro israeliano ha messo le mani avanti, poche ore prima dell’avvio ufficiale del cessate il fuoco, Netanyahu avvisa tutti, “la tregua è temporanea”, perché Joe Biden e soprattutto Donald Trump gli hanno garantito “di poter riprendere la guerra se la seconda fase dell’accordo dovesse non andare a buon fine”.

Benjamin Netanyahu parla all’ora di cena, sottolineando una certa precarietà in corso sull’inizio della prima fase sembra già traballare: “Hamas non ci ha fornito la lista dei tre ostaggi da rilasciare, deve arrivare al più presto o l’accordo salta”. Dalla Striscia però spiegano che, usando messaggeri, è questione di tempistica e non di volontà. Il cessate il fuoco ha scatenato reazioni contrastanti in Israele.

Da un lato, il rilascio degli ostaggi è visto come un sollievo per molte famiglie, attenuando in parte la rabbia contro il governo di Benjamin Netanyahu. Dall’altro, i suoi alleati politici di destra chiedono la ripresa immediata delle operazioni militari, temendo che Hamas possa riemergere più forte. 

A livello internazionale, il cessate il fuoco rappresenta una vittoria diplomatica per gli Stati Uniti, con l’amministrazione di Joe Biden che ha collaborato con il team del presidente eletto Donald Trump per facilitare l’accordo. Tuttavia, senza un chiaro piano di ricostruzione e una soluzione politica duratura, molti temono che la tregua possa essere solo temporanea.

La ricostruzione di Gaza richiederà ingenti risorse finanziarie e anni di lavoro. Inoltre, la permanenza di Hamas al potere e l’intenzione dichiarata di Israele di impedire il suo ritorno completo creano un quadro di instabilità. L’assenza di un consenso internazionale sul futuro dell’enclave rischia di compromettere gli sforzi di pace.

Il cessate il fuoco è dunque un fragile passo verso la pace, ma il cammino è ancora lungo e irto di ostacoli.