MADRID – Migliaia di manifestanti in strada in tutta la Catalogna dopo la sentenza di condanna dei leader indipendentisti catalani.
Le proteste, iniziate appena è stato reso pubblico il contenuto della sentenza, sono continuate per due giorni in tutta la regione. Molto duri gli scontri tra polizia e manifestanti all’aeroporto di Barcellona, con conseguenti disagi per passeggeri e voli cancellati.
Secondo fonti della polizia di Barcellona citate dall’Ansa, nella sola capitale catalana sarebbero scese in piazza quarantamila persone.
Quelle che sarebbero dovute essere manifestazioni di dissenso pacifiche organizzate da due sigle dell’indipendentismo catalano si sono presto trasformate in una battaglia contro le forze dell’ordine che, tra l’altro, hanno risposto in maniera molto pesante. Solo negli scontri dell’aeroporto El Prat di Barcellona, infatti, secondo il quotidiano El Pais, sarebbero rimaste ferite più di cento persone.
Due anni dopo la dichiarazione d’indipendenza della Catalogna, la Corte suprema spagnola ha inflitto pene tra nove e 13 anni di carcere ai leader separatisti che all’epoca avevano responsabilità di governo.
La condanna più dura tocca a Oriol Junqueras, il leader di Esquerra Republicana de Catalunya, la maggiore formazione politica secessionista. Per lui, 13 anni da scontare nella prigione catalana di Lledoners, dove è già rinchiuso. Dodici anni di carcere per gli assessori Jordi Turull, Raül Romeva e Dolors Bassa. Undici e mezzo per l’ex presidente del Parlamento, Carme Forcadell. Dieci anni e mezzo per gli assessori Josep Rull e Joaquim Forn. Nove anni per gli unici due imputati che non avevano responsabilità dirette nell’amministrazione, Jordi Sànchez e Jordi Cuixart, che negli ultimi anni avevano organizzato le manifestazioni di massa dell’indipendentismo catalano.
Le condanne, certamente molto dure, sono state comminate per i reati di sedizione e malversazione di fondi mentre a nessuno degli imputati, invece, è stato contestato il ben più grave reato di ribellione che, secondo il codice penale spagnolo, sussiste solo quando l’uso della violenza è finalizzato al sovvertimento dell’ordine costituzionale.
L’ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha definito le condanne una “barbarie”.
In seguito alla sentenza di lunedì, il giudice Pablo Llarena ha riattivato il mandato di arresto europeo per Puigdemont, per i reati di sedizione e malversazione: una richiesta di estradizione per Puigdemont, che però includeva anche il reato di ribellione, era già stata esaminata da un tribunale tedesco lo scorso anno, ma era stata bocciata.
Nel caos e nella confusione delle violenze di piazza, la questione, molto complessa da dipanare, sembra stare proprio nel bilanciamento tra le più o meno legittime istanze di autonomia e indipendenza e i dubbi di opportunismo politico di una regione che rivendica una potenza economica ben più solida dello stato centrale ma che, così facendo, come tutti i movimenti indipendentisti, mette ovviamente in crisi la solidità del concetto di Stato-Nazione e, ancor di più, degli organismi sovranazionali.
Il clima torna incandescente, dopo mesi in cui il governo catalano, guidato da Quim Torra, evidentemente non è riuscito a raggiungere alcun accordo tra le forze politiche in campo, mentre a Madrid il premier ad interim Pedro Sánchez, si trova alle prese con l’ennesima crisi di governo che porterà la Spagna nuovamente alle urne il prossimo 10 novembre.
Il premier sin dal suo primo insediamento ha cercato il dialogo con gli indipendentisti, molto più aperto quindi rispetto al suo predecessore Rajoy, a cui, lo ricordiamo, è subentrato dopo un voto di sfiducia promosso proprio dal PSOE di Sánchez a seguito dell’ennesimo scandalo che ha coinvolto il PP di Rajoy.
Commentando la sentenza in conferenza stampa alla Moncloa, Sánchez ha parlato di un processo “esemplare” che conferma, però, anche “il fallimento di un’iniziativa politica che ha lasciato dietro di sé solo dolore”. Il premier ha anche sottolineato l’evidente “autonomia e trasparenza” con cui la Corte ha condotto il processo e ha richiamato i valori cui la sentenza è ispirata, ovvero quelli della Costituzione. “L’uguaglianza tra i cittadini, l’uguaglianza di fronte alla legge, le differenze territoriali e la sovranità nazionale ne sono i capisaldi”, ha ribadito Sánchez. “Si apre un nuovo capitolo per la convivenza sociale in Catalogna”, ha dichiarato il premier che ha ribadito come il proprio governo continuerà a cercare il dialogo con la comunità catalana, “divisa dall’indipendentismo”.
Una sorta di appello quindi per la Generalitat a guardare a una nuova era e “non governare più per la minoranza indipendentista ma per tutti i catalani”. Nella nuova fase che si apre, ha aggiunto Sánchez, il governo di Madrid lavorerà con “fermezza democratica”, “proporzionalità” cioè rispondendo con “prudenza e serenità” a quanto ora potrà avvenire, “con un unico possibile obiettivo, la coesistenza con la Catalogna. Un unico metodo, il dialogo. Una sola regola, quella della legge, quella della Costituzione”.