MILANO - L’inchiesta conoscitiva aperta dalla Procura di Milano mira a far luce sulle gravi disfunzioni verificatesi tra il 5 e il 7 dicembre nel reparto di medicina ad alta complessità dell’Ospedale San Raffaele, situato nella palazzina “Iceberg”.
Le irregolarità sono state causate dall’impreparazione del personale infermieristico esternalizzato, che, secondo diverse testimonianze e-mail interne tra medici, avrebbe messo a “elevatissimo rischio” la salute dei pazienti.
L’indagine, affidata al pm Paolo Filippini e al momento senza indagati né ipotesi di reato, dovrà ricostruire i fatti, partendo dalle prime relazioni di Nas, Polizia di Stato e Ispettorato del Lavoro.
Il cuore dell’indagine della Procura di Milano non è solo la regolarità contrattuale del servizio esternalizzato alla cooperativa Auxilium Care Scarl, ma verte in modo cruciale sulla preparazione del personale. Gli inquirenti dovranno appurare se il team di infermieri, che si è rivelato non all’altezza della situazione, sia stato adeguatamente formato e, soprattutto, se gli sia stato fornito un training sul campo effettivo. Si cerca di capire se, prima di iniziare ad assistere i malati, gli infermieri abbiano ricevuto l’affiancamento necessario per acquisire le nozioni base, come la corretta dispensazione dei farmaci o l’utilizzo delle apparecchiature salvavita.
Le prime denunce e relazioni, infatti, evidenziano forti carenze. È stato infatti riportato che “un infermiere del primo gruppo (...) riferisce di non aver mai fatto affiancamento in reparto e di essere al suo primo turno presso l’Ospedale San Raffaele”.
Le relazioni iniziali hanno messo in luce lacune professionali gravissime. Gli infermieri esternalizzati, infatti, dimostravano di non essere in grado di gestire mansioni cruciali come la corretta dispensazione dei farmaci, il caricamento degli esami ematici sulle piattaforme informatiche come SAP, e gestire i dispositivi salvavita quali la ventilazione meccanica non invasiva (NIV) o la terapia insulinica in continuo. A completare il quadro di disorganizzazione, si aggiungeva il fatto che gli stessi carrelli infermieristici risultavano “disordinati e non rinnovati”.
A confermare il caos è la testimonianza di D.U., 45 anni, informatico e paziente in quel reparto con una grave mononucleosi, ricoverato tra il 7 e l’11 dicembre. Le sue parole descrivono una situazione drammatica e rischiosa. “È arrivato un infermiere con una pastiglia di tachipirina tra le mani nude, senza guanti. Me l’ha messa sul petto e l’ha spezzata in due. In quel momento stavo molto male, poi ho messo a fuoco i rischi per un paziente immunosoppresso come me”.
Il caos regnava soprattutto nella somministrazione delle terapie. D.U. ha raccontato di aver ricevuto per ben due volte il Paracetamolo a distanza di un’ora, con l’infermiere che insisteva sull’erogazione perché la somministrazione precedente non risultava registrata.
La confusione ha raggiunto l'apice con l’inversione dei pazienti: “Gli infermieri vanno dal mio vicino e gli vogliono dare il paracetamolo, lui gli spiega che sono io quello che ha la febbre. Hanno invertito i letti”. A questi errori si sono aggiunte le difficoltà con le attrezzature: un’infermiera non è riuscita ad avviare la macchina della pressione e, una volta terminato il controllo, l’ha lasciata accesa, provocando ripetuti allarmi e il gonfiore al braccio del paziente.
Il paziente ha rivelato che il caos aveva portato a una sorta di “mutuo soccorso tra i pazienti” più lucidi: “Ho cercato di restare il più possibile vigile e così ha fatto anche il mio vicino di letto. Ci aiutavamo a vicenda, in base a come stavamo”, ha dichiarato.
Dimesso l’11 mattina, D.U. ha concluso amaramente: “Io sono nato e cresciuto qui, col culto del San Raffaele ma non mi vedranno mai più... ho deciso di parlare perché spero che il mio racconto serva a riflettere su come la nostra sanità è ridotta”.