BRUXELLES - Nessuna decisione è stata presa durante la cena informale dei leader dell’Ue dello scorso martedì riguardo le nomine dei vertici della Commissione europea, anche se, come ha fatto sapere il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è solo questione di tempo perché, come ha sottolineato, “sono stati compiuti passi nella giusta direzione”.  

“Non era l’obiettivo di questa sera decidere”, ha ribadito Charles, ricordando che la decisione è “in programma la prossima settimana”.

“Oggi tutti hanno potuto ascoltare tutti – ha aggiunto –; ciò è un importante elemento nel processo decisionale”. 

Il prossimo incontro dei leader, previsto per il 27 e 28 giugno in occasione del Consiglio europeo, dovrà quindi portare alla nomina dei top jobs dell’Unione.

L’ipotesi di un accordo tra popolari, socialisti e liberali, con un possibile allargamento ai verdi, sembra essere ancora la via più probabile da seguire per dar vita a una vasta maggioranza, capace di mettersi al riparo da eventuali franchi tiratori, che solitamente si aggirano intorno al 10% delle forze a disposizione.

Rassicurazioni in questo senso sono arrivate al termine del vertice da Manfred Weber, presidente del Ppe, che ha dichiarato: “Dalla riunione è emerso che c’è ampio consenso sul nome di von der Leyen; è una conferma sul fatto che von der Leyen ha fatto un ottimo lavoro negli ultimi cinque anni e che come nostra candidata alla guida della Commissione Ue ha il sostegno del Consiglio Ue”.

Alla voce di Weber si è poi aggiunta quella del primo ministro polacco e negoziatore per il Ppe, Donald Tusk, che ha informato la stampa che la decisione formale verrà presa durante il vertice della prossima settimana.

“Siamo molto vicini a raggiungere un accordo – ha assicurato –. È molto probabile che Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas assumano posizioni di vertice”. 

La triade indicata da Tusk non vedrà tra i suoi sostenitori il leader ungherese conservatore, Viktor Orbán, che rispetto all’eventualità di una conferma di von der Leyen ha espresso parole durissime: “Oggi a Bruxelles la volontà del popolo europeo è stata ignorata. Il risultato delle elezioni europee è chiaro: i partiti di destra si sono rafforzati; la sinistra e i liberali hanno perso terreno. Il Ppe, invece di ascoltare gli elettori, alla fine si è alleato con i socialisti e i liberali: oggi hanno stretto un accordo e si sono spartiti i vertici dell’Ue”. 

“Non cederemo a ciò – ha proseguito Orbán –. Uniremo le forze della destra europea e lotteremo contro i burocrati favorevoli all’immigrazione e alla guerra”.

Di tutt’altro avviso il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha detto che “in Parlamento non deve esserci alcun sostegno per il presidente della Commissione che si basi su partiti di destra e populisti di destra”, sostenendo che le elezioni europee “hanno portato una maggioranza stabile” delle stesse forze politiche “che finora hanno lavorato a stretto contatto in Parlamento”.

“Viviamo in tempi difficili ed è importante sapere presto cosa succederà in Europa”,  ha sottolineato. Il senso di urgenza di Scholz è stato evidenziato anche dal presidente della Repubblica italiana, che ha invitato l’Unione Europea a una maggiore velocità nelle decisioni, perché “i problemi non aspettano”. 

“Ora dobbiamo lasciar marinare le cose”: il commento del presidente francese, Emmanuel Macron, che si è detto convinto che l’accordo finale è “vicino”. Macron ha tuttavia sottolineato che l’intesa potrebbe non arrivare prima delle elezioni francesi, previste tra il 30 giugno e il 7 luglio. “Non è comunque il nostro obiettivo”, ha assicurato.

Da parte sua, Giorgia Meloni non ci sta ad accettare silenziosamente che l’Italia venga esclusa dalle più importanti cariche europee, soprattutto alla luce dell’ottimo risultato elettorale ottenuto dal suo partito.

Questo potrebbe essere il motivo per cui, come riportato da diverse fonti, il presidente del Consiglio è stato particolarmente silenzioso durante il vertice di martedì. 

Meloni potrebbe puntare sul fatto che far passare il terzetto ‘von der Leyen, Costa e Kallas’, senza il sì di un Paese fondatore come l’Italia, potrebbe essere una mossa azzardata per i leader Ue e garantire quindi al suo governo la chance di alzare la posta e ricevere, in cambio, una delega di peso nella nuova Commissione europea.