È nel suo sguardo – buio, cedevole, così profondo da rendere impossibile scorgerne il fondo. Sono gli occhi stanchi di Omayma, la mediatrice culturale tunisina che sognava un cammino sgombro di nubi una volta raggiunta l’Italia. E, invece, ha perso tragicamente la sua vita, strappata dalle vigliacche mani di suo marito, costringendola a dire addio per sempre alle sue quattro figlie.
In Omayma, cortometraggio di successo del regista e talento siciliano Fabio Schifilliti, attraversiamo gli ultimi giorni della donna, interpretata da Mariam Al Ferjani, facendo però qualche passo indietro per non dimenticare il candore della sua Tunisia di fronte alla promessa di un futuro migliore e il desiderio di rivalsa contro i soprusi di un compagno insoddisfatto e violento.
“Qualche anno fa, sfogliando un giornale, mi ha colpito la foto di questa donna e, in particolare, i suoi occhi profondi, intensi. Quegli occhi mi fissavano e ho sentito come se mi stessero chiamando. Quando provo emozioni del genere, quel formicolio, capisco che devo intraprendere il progetto – racconta il regista –. Ho quindi cominciato a intervistare la famiglia di Omayma, i suoi genitori, il fratello; avevo un interprete arabo. Insieme allo sceneggiatore Paolo Pintacuda (scrittore e figlio del fotografo Mimmo Pintacuda, guida professionale e amico del regista Giuseppe Tornatore che si ispirò a lui per il personaggio di Alfredo nel film Nuovo Cinema Paradiso, ndr) abbiamo capito che non volevamo raccontare la violenza come atto, piuttosto quello che definisco il turbinìo dell’animo umano in contrasto tra passato e presente”.
Dettaglio dopo dettaglio, Schifilliti ha raccontato i primi germogli di un nuovo amore, l’apparente normalità, il sogno di pace e poi il crollo. Sono le immagini a emozionarci, sconvolgerci, destabilizzarci. E per il mese dedicato alle donne, il regista ha raggiunto anche l’Australia per presentare il suo cortometraggio di successo davanti a una gremita platea al Treasury Theatre nel cuore di Melbourne, in un evento organizzato dal Com.It.Es. Victoria e Tasmania, il Consolato Generale d’Italia a Melbourne e l’Istituto Italiano di Cultura a Melbourne.
“La storia di Omayma segue la verità dei suoi giorni perché ci siamo a lungo confrontati con una delle sue figlie – continua Schifilliti –. Ho vissuto molto questa storia: le lacrime dei suoi genitori e del fratello che piangevano e mi cucinavano le uova con il pomodoro e il peperoncino alle nove del mattino”.
All’evento al Treasury Theatre, il regista ha anche donato una targa speciale per l’Ambasciata italiana da parte del sindaco di Messina “in segno di ringraziamento per la diffusione di una storia così importante”, un modo per rafforzare anche i legami già storici tra i due Paesi.
Le attrici Mariam Al Ferjani e Giulia Migliardi in una scena del cortometraggio
Anche Fabio Schifilliti è legato all’Australia: tutti i fratelli di suo nonno, l’unico rimasto in Sicilia, si trasferirono nel nuovo continente nel Secondo dopoguerra. Questo viaggio è infatti occasione per lui, e per suo padre, per riabbracciare parenti lontani, ma mai dimenticati. Inoltre, grazie a una speciale amicizia con una ragazza australiana, conosciuta proprio nella sua Sicilia durante una vacanza, Schifilliti ha capito, anche prima di arrivare Down Under, “quanto questa terra possa offrire”.
“La cosa che mi ha sconvolto maggiormente è che, da perfetto sconosciuto, dopo soltanto qualche giorno dal mio arrivo a Melbourne e l’invio di qualche email ad agenzie e produttori, mi hanno risposto in diversi, dandomi appuntamento per l’indomani – racconta Schifilliti –. In Italia è praticamente impensabile, impossibile, tranne che tu non sia amico del produttore o del regista di turno. Quando sono arrivato alla società di produzione che mi aveva dato il primo appuntamento, sono stato accolto dal proprietario con un calore unico, chiedendo ai dipendenti di ‘fermarsi un attimo perché era arrivato un regista italiano’. L’Italia è davvero un Paese portatore di cultura nel mondo e quell’episodio mi ha fatto comprendere come il mio obiettivo debba essere quello di fare cinema da italiano, con la sensibilità italiana e siciliana, ma per il resto del mondo”.
È stata una domanda a dare inizio al suo percorso artistico. Da piccolissimo, infatti, si chiedeva spesso come fosse possibile che delle semplici immagini proiettate in una stanza buia potessero così tanto emozionare una persona.
“È un quesito che ho trascinato con me per molto tempo – racconta –. Poi, alle scuole superiori ho seguito un laboratorio di cinema e ho capito che volevo dar vita a quelle stesse reazioni che osservavo da bambino. E oggi, quando sono a una proiezione di un mio film o un mio progetto, raramente guardo lo schermo, piuttosto resto al lato della sala o in fondo a osservare le reazioni emotive e fisiche del pubblico. Perché, come diceva Bertolucci, la proiezione cinematografica è fisica, non tanto emotiva. Quando vedi un film drammatico, si piange. Quando si guarda un film horror, si hanno le palpitazioni. Con una pellicola comica, si ride. È il corpo a trasformare l’emozione in lacrime. E in assoluto l’aspetto del mio lavoro che mi ossessiona da sempre”.
Dopo la laurea con specializzazione in Cinema, teatro e musica, Schifilliti ha cominciato subito a lavorare come assistente alla regia tra Messina e Roma, muovendo i primi passi nella realizzazione di cortometraggi, documentari, pubblicità e campagne televisive governative. Nel 2014, il premio Cubovision Telecom Italia e RaiCinema Film Award, grazie al suo film Beyond the Sea, gli ha permesso di volare direttamente a Hollywood per uno stage con il celebre regista e produttore cinematografico Ron Howard. Un’esperienza che ricorda ancora come “incredibile”, oltre che straordinariamente formativa, tanto da tornare alla sua Italia con una visione artistica ancora più chiara.
La scena del matrimonio da Omayma
“Un giorno ero a Roma e mi sono ritrovato su un set cinematografico; il regista del film aveva lavorato sul set di Titanic. Poiché conoscevo una persona della troupe, gli ho chiesto di presentarmi – racconta –. Quando il regista mi ha chiesto chi fossi, gli ho risposto timidamente: ‘Sono un regista in erba e spero un giorno di diventarlo davvero’. Lui mi ha immediatamente frenato, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto di non dire mai una cosa del genere perché ‘si è registi dentro fin dalla nascita’. Mi ha molto colpito”.
Nonostante la lunga gavetta da assistente alla regia su innumerevoli set cinematografici, dove è stato costretto anche a imparare a frenare la sua personale creatività “di fronte a scene che avrebbe girato diversamente”, Schifilliti è riuscito comunque a collezionare nel tempo premi in numerosi festival internazionali, sempre ispirato “dal solo e unico Giuseppe Tornatore”, l’immenso regista di Nuovo Cinema Paradiso, La leggenda del pianista sull’oceano e Baarìa, a cui ha dedicato un documentario inedito realizzato per la sua tesi di laurea.
“Ho avuto anche la fortuna di conoscerlo e mi ha dato tantissimi consigli artistici – spiega –. Abbiamo instaurato un bellissimo rapporto, quasi epistolare. È sempre un onore sentirlo”.
Oggi, riflettendo sul futuro della sua arte e della cinematografia, spera semplicemente di poter “continuare a raccontare il turbinìo dell’animo umano”.
“Penso che la nostra vita sia messa sempre a dura prova, ogni singolo giorno. E noi ogni giorno siamo posti davanti a delle scelte che presuppongono anche delle rinunce. Ecco, mi piacerebbe raccontare quello che succede nello scombussolamento della nostra anima, quello che accade dentro di noi ogni giorno. E vorrei farlo attraverso la potenza delle immagini perché, ricordiamolo, il cinema nasce muto. La sua forza assoluta è nelle immagini”.