PADOVA -  Si chiamava Giada Zanola, 34 anni, originaria di Brescia, la donna uccisa dal compagno e gettata l’altra notte da un cavalcavia della A4, poi travolta da un camion. Il compagno, in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato, è Andrea Favero, 39 anni. Quest’ultimo lavora come camionista. Giada, invece, stava per iniziare un lavoro in un impianto di distribuzione di carburanti. Fondamentali, per la scoperta dell’omicidio, sono state le contraddizioni, anche nella ricostruzione degli orari, nelle quali il 39enne è caduto già durante l’interrogatorio davanti agli agenti, negli uffici della Polizia stradale padovana. E anche le immagini delle telecamere puntate sul tratto della A4, in direzione Milano, e dello stesso sovrappasso autostradale di Vigonza.

L’omicidio, secondo la ricostruzione della polizia, è avvenuto al culmine di una lite che i due hanno avuto mentre si trovavano sul ponte sopra l’autostrada, a Vigonza, poco distante dalla loro abitazione. Qui il compagno l’ha fatta precipitare. Alcune automobili sono riuscite a evitare il corpo, poi la donna è stata travolta mortalmente da un camion. La donna era con ogni probabilità ancora viva quando il suo ex compagno l’ha gettata dal cavalcavia. Il risultato, secondo quanto si è appreso, è emerso dall’autopsia svolta dal professor Claudio Terranova, su richiesta del sostituto procuratore di Padova Giorgio Falcone. Dall’esame non sarebbero stati evidenziati segni di strangolamento, o ferite di arma da taglio sul corpo della donna. E’ comunque possibile che Favero l’abbia tramortita per riuscire a sollevarne il corpo oltre la ringhiera del manufatto, che in quel punto misura circa due metri. 

Giada e Andrea dovevano sposarsi a settembre. Poi, lei aveva annullato tutto. “Non ricordo che Giada sia caduta dal parapetto, ricordo solo che mi continuava a offendere e ricattarmi dicendo che mi avrebbe portato via mio figlio” ha detto agli inquirenti Favero affermando di avere “come un vuoto” e di non riuscire “a mentalizzare la scena” di cosa fosse accaduto. Favero avrebbe messo in piedi “una messinscena” per simulare di non avere ucciso la donna. “Al fine di lasciare traccia della messinscena - è stato reso noto dalla procura - l’indagato effettuava anche una chiamata al cellulare della vittima e le scriveva un messaggio rinfacciandole di essere uscita senza passare a salutare lui e il figlio”. Favero avrebbe simulato anche di avere saputo della morte della compagna solo dopo avere letto un messaggio in una chat di quartiere. 

Nel frattempo proseguono gli accertamenti della Squadra Mobile padovana, e non è escluso che vengano sentiti nuovamente parenti e amici della donna, compreso il suo nuovo compagno, con il quale Giada avrebbe dovuto iniziare a lavorare nel distributore di benzina. Tra i vari accertamenti in programma vi è poi una consulenza tecnico-informatica sul cellulare di Favero, mentre il telefonino della vittima non è stato ancora ritrovato. Favero rimane nel carcere Due Palazzi dove, nell’interrogatorio di garanzia ha fatto scena muta e non ha voluto neanche rilasciare dichiarazioni spontanee anche se, in precedenza, agli investigatori avrebbe fatto alcune ammissioni.