ANCONA - È durata poco più di trenta ore la fuga di Nazif Muslija, il cinquantenne di origine macedone ritenuto responsabile del femminicidio della moglie, Sadjide Muslija, avvenuto martedì a Pianello Vallesina, nel comune di Monte Roberto, in provincia di Ancona.
L’uomo, che si era allontanato a bordo della sua Smart bianca, è stato ritrovato dai carabinieri in un bosco, nella frazione Braccano di Matelica, in provincia di Macerata, riverso al suolo e gravemente ferito. Secondo quanto ricostruito, avrebbe tentato di togliersi la vita. A notarlo è stato un cacciatore che si trovava nell’area, che ha prestato i primi soccorsi e lanciato immediatamente l’allarme.
Nei confronti di Muslija, accusato di omicidio volontario aggravato, la Procura di Ancona aveva emesso un mandato di fermo internazionale. Gli investigatori della Sis dei carabinieri, dopo i rilievi di mercoledì, sono tornati nell’abitazione dove la donna è stata trovata senza vita: Tatiana giaceva sul letto, colpita con violenza al cranio e al torace.
Durante la nuova ispezione è stato sequestrato un tubo di ferro da cantiere, con tracce ematiche compatibili con il delitto, che ora sarà sottoposto ad analisi specifiche per accertarne l’effettivo utilizzo come arma. La Procura disporrà l’autopsia sul corpo della vittima.
Intanto è polemica sul percorso che l’uomo avrebbe dovuto intraprendere presso un Centro per uomini autori di violenza, parte integrante del patteggiamento a un anno e dieci mesi per le aggressioni e i maltrattamenti commessi in passato nei confronti della moglie. Il programma, della durata di un anno, prevedeva incontri quindicinali per un totale di 60 ore, da svolgersi entro settembre 2025.
Il legale di Muslija, Antonio Gagliardi, sostiene però che “non c’era posto nell’associazione indicata dal percorso”, fatto che avrebbe ritardato l’inizio del trattamento.
Sulla vicenda è intervenuta la procuratrice capo di Ancona, Monica Garulli, che ha definito il caso “una storia che lascia l’amaro in bocca”, e ha sottolineato come, nei casi di violenza domestica, sia necessario valutare attentamente il rischio di recidiva: “Non si possono trattare tutti i casi nello stesso modo. Credo che questo caso avrebbe meritato una corsia preferenziale, che nel caso in specie non c’è stata. Nel momento in cui si individua una struttura deputata al percorso di recupero, bisogna comprendere qual è il pericolo di recidiva e differenziare i percorsi a seconda della gravità dei fatti”.
Un appello a misure più stringenti arriva anche dal Centro antiviolenza di Ancona. La presidente dell’associazione, Roberta Montenovo, chiede interventi tempestivi e calibrati: “Si dovrebbe fare una valutazione del rischio in previsione di un possibile comportamento di escalation in senso negativo. Anche in attesa di qualsiasi tipo di percorso dovrebbero essere previste delle misure”.