LUCCA – Sono toscani, ma non si sentono tali fino in fondo. Un po’ liguri e un po’ emiliani, forse. Sono i lucchesi che, anche nelle modalità migratorie, hanno sempre fatto “storia a sé”. Trasformandosi in “figurinai”, cioè venditori di statuette di gesso in giro per il mondo.

Una vicenda poco conosciuta che parla del passato del territorio di Lucca, ma anche del suo presente e del suo legame con le radici. Della storia di una diaspora dalle caratteristiche uniche. Ce la racconta Bruno Micheletti, vicepresidente dell’Associazione lucchesi nel mondo, nata nel 1963.

La lavorazione del gesso a Lucca risale all’antichità. “Nel Medio Evo, nei conventi di monache, si producevano statuette del Bambin Gesù – dice Micheletti–. Esiste addirittura una lettera di Santa Caterina da Siena che ringraziava le consorelle per il loro lavoro”.

Tra il ‘500 e il ‘600 queste statue divennero famose, ma le monache non sapevano come venderle. È allora che entrano in scena i figurinai, lucchesi che andavano a lavorare in Maremma, Corsica e Roma e che si incaricavano della vendita porta a porta. Provenivano quasi tutti dalle Valle del Serchio.

“Con il tempo iniziarono anche a realizzare in proprio statuette di animali – aggiunge Micheletti –. Nel ‘700, con il revival del classicismo, si dedicarono anche alla riproduzione di opere in marmo greche e romane e diventarono addirittura formatori per le maggiori accademie, per esempio per lo stesso British Museum che doveva fare i calchi del Partenone”.

Altri continuarono come venditori ambulanti, di casa in casa, in tutto il mondo.

Un figurinaio in Polonia (cortesia B. Micheletti).

“Scoprivano cosa andava di moda e si adattavano – spiega Micheletti –. Dai busti dei presidenti degli Usa agli zar di Russia, fino ai Buddha nel Sud-Est asiatico… Ma il pezzo più venduto in assoluto era Napoleone, oltretutto la sua immagine era proibita in molti luoghi e quindi le quotazioni erano più alte”. In Italia e America Latina, invece, andava di moda Garibaldi.

Il tragitto migratorio dei figurinai lucchesi era stagionale (intendendo con questo termine un periodo di 3-5 anni). “Erano tutti uomini e partivano in gruppi di 5-10 persone con il progetto di tornare – spiega Micheletti –. Affittavano una casa tutti insieme e allestivano un laboratorio”. Il lavoro si divideva tra chi creava le statuette e chi le vendeva.

“C’era un capo, proprietario degli stampi di gesso – aggiunge Micheletti –. Si fissava un prezzo minimo di vendita e tutto quello che il venditore riusciva ad aggiungere era il suo guadagno”.

Nel ‘900 nascono le prime vere fabbriche, nella Valle del Serchio ma anche a Londra e Bruxelles, successivamente negli Usa e Sudamerica. Fu allora che l’emigrazione lucchese, da stagionale, divenne definitiva.

Nella seconda metà del ‘900 il gusto cambia. Le figurine di gesso vengono considerate kitsch e sono meno richieste. “Fino a 15-20 anni fa negli Usa c’era ancora domanda di statue di cani – afferma Micheletti – ma la crisi definitiva arriva con la concorrenza di Taiwan e l’uso di materiali come resina e plastica”.

I lucchesi nel mondo, però, non si perdono d’animo e si “riciclano” in altre attività, dato che ormai erano parte integrante della società dei diversi Paesi di accoglienza.

In Argentina, per esempio, sono numerosi a Rosario, Mar del Plata e nella stessa Buenos Aires, ma anche a Córdoba, Mendoza e Salta, riuniti sia in sedi dell’Associazione lucchesi nel mondo, sia in organizzazioni dell’associazionismo toscano.

“I club toscani, peraltro, inizialmente erano tutti a guida lucchese” sottolinea Bruno Micheletti, il cui bisnonno era emigrato in Argentina nel 1908, dove erano nati due figli: Alfredo (nonno di Bruno) e Flora. Poi il bisnonno si sposta in Olanda, mentre il nonno, negli anni ‘40, torna in Sudamerica, per la precisione in Brasile.

Il quadro di Bruno Cordati (cortesia B. Micheletti).

“Si narra che Cristoforo Colombo, appena messo piede in America, abbia trovato un lucchese che aveva provato a vendergli una figurina di gesso – scherza Bruno a mo’ di conclusione –. Esiste anche un quadro che raffigura l’aneddoto”. È del pittore Bruno Cordati, originario di Barga (Lucca) ed è conservato nella sala consiliare del Comune di Bagni di Lucca.