Con la fine della Seconda guerra mondiale e la conseguente ricostruzione, c’è la necessità ancora più forte di ridefinire l’arte. In questo contesto di transizione verso una nuova espressività si inserisce un grande innovatore italiano, Lucio Fontana, fondatore del movimento spazialista e celebre per i suoi “tagli”, le fenditure nette su tele monocrome.
Nato in Argentina nel 1899 da genitori di origine italiana (il padre era un decoratore e scultore), l’artista fece la spola tra il Sud America e l’Italia per decenni prima di stabilirsi definitivamente nella Penisola nel Secondo dopoguerra. Fino ad allora si era dedicato alla scultura ma è con la pittura che raggiunse la fama e l’apice della sua arte, pur continuando a scolpire e creando anche installazioni, gli Ambienti spaziali.
Alla base del suo lavoro c’è il bisogno di superare la tradizione e abbracciare le innovazioni tecnologiche e scientifiche, in particolare ripensando il concetto di spazio sia pittorico (e quindi la tela) e sia come dialogo tra opera d’arte e ambiente circostante.
Per Fontana, la tela, intesa per secoli come una superficie da dipingere piatta e bidimensionale, è limitante. Attraverso i tagli e i buchi, come quelli che si possono vedere in Concetto spaziale (1964-65) presso la National Gallery of Victoria, l’artista vuole aprire un “passaggio” e spingere lo spettatore a guardare oltre, a cercare di vedere cosa c’è al di là.
“Il buco è la prima dimensione nel vuoto, la libertà agli artisti e agli uomini di creare l’arte con qualunque mezzo. L’arte è già pura filosofia – disse Fontana –. Io buco la tela e da lì passa l’infinito. Apro una dimensione nuova che è quella dello spazio infinito”. Influenzato dai viaggi nel cosmo e dalle scoperte scientifiche, Fontana declina lo stesso tema in centinaia di varianti nell’arco di vent’anni fino alla morte nel 1969, spesso con titoli ricorrenti (le serie Concetti spaziali, Attese, Fine di Dio, Ellissi, solo per citarne alcune), cambiando i colori di sfondo, il numero di tagli e buchi, la loro disposizione, l’applicazione di vetri che aggiungevano luce e riflessi. Ricorrente è l’uso dell’oro come nell’opera della NGV, più che un colore un ulteriore elemento astratto sulla tela.
I quadri di Fontana non devono ingannare lo spettatore: apparentemente semplici a livello grafico e tecnico, in realtà richiedono una certa esperienza e attenzione nella scelta dei materiali e nei gesti, che devono essere studiati e fermi, decisi per far sì di non rovinare la tela stessa che doveva essere del giusto spessore e avere la giusta umidità, ecc. La preparazione era accurata, proprio come se l’artista si apprestasse a realizzare un dipinto più tradizionale e a volte passavano anche giorni prima di realizzare il taglio che diventava un atto di riflessione e contemplazione.