BUENOS AIRES – Papa Francesco è stato un tifoso incondizionato del San Lorenzo: nel corso della sua vita, non ha mai nascosto il suo amore per la squadra di Boedo, che ha continuato a sostenere anche dal Vaticano. La sua storia non è stata solo quella di un semplice simpatizzante, ma di qualcuno che ha trovato nel calcio un legame profondo con la sua infanzia, la sua famiglia e la sua identità.

Il rapporto di Jorge Mario Bergoglio con il Ciclón (soprannome della squadra) iniziò nella sua infanzia. Nato nel 1936 nel quartiere di Flores, a Buenos Aires, crebbe in una famiglia fortemente legata al club. Suo padre, Mario Bergoglio, dipendente delle ferrovie e grande tifoso dell’istituzione rossoblu, gli trasmise la passione, portandolo al Vecchio Gasometro, lo storico stadio situato in Avenida La Plata.

Più di una volta ha ricordato quei pomeriggi allo stadio con suo padre e sua nonna. Per lui, il Cuervo (altro soprannome del San Lorenzo) non era soltanto una squadra, ma un legame familiare, uno spazio di incontro e di gioia. “Andavamo in curva. Ho visto il San Lorenzo diventare campione nel ‘46. Mi ricordo di Farro, Pontoni e Martino, un terzetto d’attacco incredibile”, raccontò in un’intervista, dimostrando di avere ancora viva la memoria di quell’epoca d’oro.

Un tifoso in Vaticano

Nonostante la sua vocazione religiosa lo avesse portato su un cammino diverso, il suo amore per il San Lorenzo non si spense mai. Già da arcivescovo di Buenos Aires, seguiva l’andamento della squadra e festeggiava ogni vittoria. Anche nei periodi difficili, dal punto di vista sportivo e istituzionale, non smise mai di sostenere il club.

Il legame divenne ancora più evidente quando, nel 2013, fu eletto Papa: appena assunto il pontificato, iniziarono a circolare foto che lo ritraevano con la tessera da socio aggiornata. L’immagine fece il giro del mondo, portando il San Lorenzo in primo piano a livello internazionale anche tra i non appassionati di calcio.

La tessera di socio di Jorge Bergoglio.

Da parte sua, il club non tardò a esprimere il proprio orgoglio: nell’agosto di quell’anno, la squadra viaggiò fino al Vaticano per incontrare il Pontefice e regalargli una maglia personalizzata con il suo nome e il numero 10. Francesco accolse i giocatori con calore e colse l’occasione per scherzare sul calcio: “Spero che continuiate a far bene e che i tifosi non debbano soffrire troppo”.

La promessa mantenuta: la Copa Libertadores del 2014

Uno dei momenti più simbolici del rapporto tra il Papa e il San Lorenzo arrivò nel 2014, quando il club vinse per la prima volta nella sua storia la Copa Libertadores, battendo il Nacional del Paraguay. Poche settimane dopo la vittoria, una delegazione della squadra si recò di nuovo a Roma per presentargli il trofeo.

Il Papa li accolse con un sorriso e una battuta che confermò il suo fanatismo: “Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato”. Inoltre, lodò l’impegno della squadra e ricordò che, nella sua infanzia, il San Lorenzo rappresentava molto più che una squadra di calcio, essendo anche un importante centro di vita sociale e culturale.

Il Pontefice stringe tra le mani la Copa Libertadores del San Lorenzo.

Il titolo internazionale ebbe un sapore ancora più speciale perché coincise con l’adempimento di una “promessa”: per anni, i tifosi avevano detto che, con un Papa tifoso rossoblu in Vaticano, il San Lorenzo avrebbe finalmente vinto la Libertadores. Quando ciò avvenne, molti attribuirono il successo a una sorta di “aiuto divino” con lo zampino di Francesco.

Un Papa rossoblu: un legame che ha superato il calcio

Oltre ai trofei e ai momenti felici, il legame tra Francesco e il San Lorenzo fu molto più profondo. Il Papa sottolineò sempre il calcio come spazio di incontro, di valori e di passione autentica. Non lasciò mai che il suo ruolo di leader della Chiesa interferisse con il suo amore per il club, né utilizzò mai il suo fanatismo in modo esagerato.

Francesco fu il primo Papa argentino e il primo nella storia con un’affiliazione calcistica così marcata. Il suo amore per il San Lorenzo fu un tratto distintivo che lo rese ancora più umano agli occhi del mondo, dimostrando che anche il capo della Chiesa poteva emozionarsi per il calcio e rivivere la propria infanzia attraverso una semplice maglia.