BUENOS AIRES – La sensazione è di essere arrivati a un punto svolta. Che farà papa Francesco una volta guarito? Sarà in grado di continuare a guidare la Chiesa o sceglierà di dimettersi, come il suo predecessore? E nel caso in cui restasse, cosa cambierà nel suo pontificato?  

Con l’aiuto di Fortunato Mallimaci, ricercatore superiore del Conicet (l’ente di Stato per la ricerca scientifica) e docente emerito di Sociologia storica all’Università di Buenos Aires, proviamo a ripercorrere il pontificato di Jorge Bergoglio.

“Per capire Francesco e il suo pontificato, bisogna capire le circostanze in cui è stato eletto”, dice Mallimaci. Elezione peraltro a sorpresa, per un conclave considerato fortemente eurocentrico.

“Ratzinger si era dimesso, travolto dalla crisi finanziaria del Vaticano e lo scandalo dei preti pedofili – ricorda Mallimaci –. Tutto questo in un contesto di perdita di autorità e divisioni interne della Chiesa e di debolezza culturale e politica del mondo europeo”.

Una debolezza che oggi emerge più evidente che mai con le trattative di pace per l’Ucraina, dove gli attori in gioco sono Stati Uniti, Russia e Cina e dove gli Stati europei cercano inutilmente di ritagliarsi un ruolo, ostentatamente ignorati da Donald Trump. “L’Europa non è più al centro del mondo, nemmeno quello cattolico”, afferma Fortunato.

Il papa argentino ha portato al centro i temi della povertà e delle disuguaglianze, perché è da quel mondo che arriva. “Il mondo dei poveri, degli scartabili, delle periferie esistenziali – dice il ricercatore –. Un mondo dove le conseguenze della concentrazione della ricchezza sono sotto gli occhi di tutti”.

Nell’enciclica Laudato si’ presenta l’ecologia integrale della Chiesa, con un approccio che non è solo conservazionista, ma si preoccupa ancora una volta della difesa dei gruppi sociali marginali, più fortemente colpiti dai problemi ambientali, osservando come i grandi inquinatori siano anche coloro che provocano la povertà.

Francesco ha portato avanti il dialogo interreligioso in modo diverso da quanto fatto sia da Giovanni Paolo II, sia da Benedetto XVI.

“Woityla invitava tutti i leader religiosi ad Assisi a pregare con lui – ricorda Mallimaci –. Bergoglio si spostava per incontrarli”. Nel 2016 si riunisce a Cuba con il patriarca ortodosso di Mosca, nel 2014 aveva visitato quello di Costantinopoli in Turchia, nel 2018 incontrerà i pastori protestanti in Svizzera…

“Non vuole che i cristiani appaiano come nemici dell’Islam – continua – e ricuce lo strappo del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI del 2006, sul cui significato i vaticanisti continuano a discutere. Ratzinger era convinto che l’Islam non avesse modernità, mentre Francesco afferma che Dio è uno e che cambiano i modi di intenderlo”. Non per niente nel 2021 è andato a incontrare in Iraq l’ayatollah sciita Al-Sistani, forse il viaggio più rischioso della sua vita.

Verso la Cina, poi, ha mostrato l’atteggiamento più pragmatico, criticatissimo dalla destra mondiale. “Dopo aver detto che i cattolici cinesi devono uscire dalle catacombe, si è accordato con il Partito Comunista cinese per nominare un vescovo gradito al governo”, spiega il sociologo.

Quali riforme è riuscito a compiere nel suo pontificato? “Quella finanziaria è forse la più riuscita – afferma Fortunato –. Ha potuto imporre controlli esterni sulle istituzioni finanziare vaticane. Ma non esiste riforma del cattolicesimo che non sia anche riforma sociale e culturale”.

Un tema aperto riguarda la posizione della donna nella Chiesa, ancora subalterna. Il sacerdozio femminile è più lontano che mai. “Probabilmente vedremo prima la fine del celibato per i preti – azzarda il sociologo –. Francesco è stato un riformatore sociale, più che delle istituzioni. Ma va detto che, nel profondo, resta un conservatore. E lo dimostrano le sue prese di posizione, quando era vescovo di Buenos Aires, ma anche le ambiguità dell’epoca della dittatura”.

Secondo Mallimaci, che conosce a fondo la storia della Chiesa, e di quella argentina in particolare, resta un nodo che va al di là della personalità del pontefice. “È un gesuita – dice –. E i gesuiti, nel loro atto fondativo, nascono per essere i consiglieri del papa, non per diventarlo”. Non è casuale la scelta del nome da papa: il richiamo a un ordine lontanissimo dal proprio.

Ed è in questo senso che, forse, va interpretato il suo rifiuto a tornare in Argentina, dopo l’elezione. “Perché a Buenos Aires sarebbe stato di nuovo Jorge Bergoglio – dice Mallimaci –. Mentre lui vuole essere ricordato unicamente come Francesco”.