Chissà cosa sognava Francesco Nuti, quando sognava, nei lunghi anni in cui un destino atroce e capriccioso lo ha tenuto lontano dal suo mondo e dalla vita reale.Probabilmente sognava splendide storie, grandi amori, quelle commedie giocose e acri per cui era diventato un beniamino del pubblico.
La sua è stata l’esistenza naturale del “fool” shakespeariano, non tracotante come Falstaff, semmai simile ad Ariel nella “Tempesta”, il fedele servo di Prospero che sa vedere oltre l’apparenza e condurre gli spettatori nel territorio del sogno.
Eppure Nuti, che se ne è andato a 68 anni in una clinica romana così lontana da quella Firenze in cui era nato il 17 maggio del 1955, è stato anche un mago, come Prospero: toccava le storie e i personaggi e li trasformava a sua immagine e somiglianza, creando una strana magia empatica per cui generazioni diverse si sono rispecchiate in quel Francesco detto “il Toscano” che poi si sarebbe nascosto dietro altri pseudonimi: Romeo, Caruso, Willy, Lorenzo, Dado, Pinocchio.
Che l’incontro con il suo conterraneo Collodi e il burattino discolo fosse da sempre un punto d’arrivo nei sogni di Nuti era chiaro fin dall’inizio: purtroppo quando i due si incontrarono davvero (“OcchioPinocchio”, 1994) l’attore-regista era già preda del demone autodistruttivo, tra alcool e depressione, che avrebbe segnato il suo declino e il film resta ancor oggi una grande opera incompiuta in cui solo a tratto balugina il suo talento irregolare e ribelle. Ma prima ci sono titoli memorabili (all’inizio condivisi con Maurizio Ponzi alla regia), da “Madonna che silenzio c’è stasera” (1982) a “Io, Chiara e lo Scuro” (‘83), da “Son contento” (‘83) fino a “Casablanca Casablanca” che nell’‘85 lo promuove a regista di se stesso in un seguito ideale di “Io, Chiara e lo Scuro”.
E’ il suo momento d’oro in cui coniuga con leggerezza e inventiva tutte le doti messe in mostra fin da ragazzino e poi in teatro e televisione al fianco di Alessandro Benvenuti e Athina Cenci nel gruppo dei Giancattivi con cui aveva conosciuto la popolarità in No Stop (grande fucina televisiva di talenti firmata da Enzo Trapani con il talent scout Bruno Voglino) e l’esordio al cinema con “Ad ovest di Paperino” (1981). Nella sua età felice Nuti è un one-man-band capace di generare dolcezza, incanto poetico, satira e romanticismo in un solo mix irripetibile, portando sullo schermo una “toscanità” ruspante che coincideva con la scoperta del “regionalismo” da parte della commedia italiana. Nonostante gli altalenanti successi successivi, il suo talento si disperse lentamente dopo la metà degli anni ‘80, prima in un’ossessiva ricerca di diversificare se stesso (“Tutta colpa del paradiso”, 1985, “Caruso Pascoski” di padre polacco, ‘88, “Willy Signori e vengo da lontano”, ‘89) e poi alla rincorsa del tempo perduto (“Il signor Quindicipalle”, ‘98).
Lo abbiamo visto per l’ultima volta sullo schermo nel 2005, attore in “Concorso di colpa”, poliziesco troppo poco visto di Claudio Fragasso. A quel punto l’appuntamento col destino è già dietro l’angolo: sempre meno presente a se stesso, l’anno dopo cade dalle scale di casa e il trauma cranico è gravissimo. Entrerà in un tunnel di faticosa rieducazione, ricadute, tiepide speranze che non gli consentirà più di riprendersi la scena anche se gli amici della giovinezza non smetteranno di stargli vicino, il fratello Giovanni lo aiuterà a scrivere una biografia molto personale (“Sono un bravo ragazzo-Andata, caduta e ritorno”) e si moltiplicheranno spettacoli e monologhi di cui è l’indiretto protagonista.
In una toccante intervista la figlia Ginevra (avuta con Anna Maria Malipero) dirà: “Francesco è e sarà sempre il mio papà anche se non può più parlare, muovere le mani e camminare ed è giusto che mi occupi di lui”. E così è stato fino all’ultimo giorno. Francesco Nuti ha attraversato il cinema come una luminosa meteora, sempre inclassificabile tra passione per il biliardo, grande co-rotagonista dei suoi film migliori in coppia col campione Marcello Lotti, la musica (ha calcato il palco di Sanremo e la sua discografia fa da controcanto alle sue regie), gli amori e le delusioni private. Lascia in eredità 10 film e 15 titoli da attore, un pugno di premi (l’ultimo dei quali alla memoria di Vincenzo Crocitti gli è stato consegnato nel 2019) e troppi sogni ancora da realizzare.
“È un continuo di brutte notizie, vedo il mio paesaggio familiare e professionale pieno di luci che si stanno spegnendo, fin che muoiono i grandi vecchi sono vuoti immensi ma quando accade con quelli con cui sei cresciuta, quelli della tua generazione con i ricordi vivissimi come quelli che io ho con Francesco la sensazione è terribile”, ha detto Giuliana De Sio che a Nuti era legata moltissimo, i film insieme campioni d’incasso e anche una storia sentimentale negli anni ‘80. “Affiorano tutti insieme ricordi che sembrano di ieri, i casini, le risate, le cene, le cantate con la chitarra, il festival di Sanremo che lo emozionò come fosse un Nobel vinto, mi ricordo di quando morì suo padre, i suoi singhiozzi e la prima regia, il primo ciak spaesato a Tangeri, sembra ieri. Era troppo presto per andarsene, ma lui a dirla tutta ci ha lasciato tanto tempo fa. Quella di Francesco - ricorda - è una parabola misteriosa, incomprensibile di uno che ha avuto tutto e deciso di perdere tutto”.