È cresciuto osservando suo padre, i suoi occhi sempre attenti, le mani costantemente impegnate nella lavorazione della versatile vetroresina per la realizzazione di modelli in scala. “Trascorrevo tutti i pomeriggi dopo la scuola nel suo studio a Roma, alla fine degli anni ’60 era abitudine fare così: accompagnare e assistere i propri genitori al lavoro”, ha raccontato Franco Bottaro.
E proprio da suo padre ha ereditato la passione per le creazioni artigianali e per i progetti fatti a mano. Oggi, con la sua attività ‘All Round’, si occupa infatti di riparazioni specialistiche in vetroresina, in particolare per i piatti doccia. “Posso quasi affermare che sono oltre cinquant’anni che lavoro, fin da quando ero un bambino affascinato dai meravigliosi progetti realizzati da mio padre”, ha continuato.
Originario di Roma, Bottaro è cresciuto prima nella storica borgata di Quarticciolo, poi nel centrale viale Marconi e infine ad Acilia, una frazione della Capitale in direzione Ostia. Prima di prendere la coraggiosa decisione di trasferirsi in Australia, ha invece vissuto a Fiumicino, “proprio a due passi dall’aeroporto che ha cambiato ogni cosa”.
Alla fine degli anni ’80, Bottaro e suo fratello hanno pensato di stravolgere completamente le proprie esistenze.
“Ho conosciuto mia moglie a Roma anche se lei è originaria della Calabria e ha vissuto per un periodo della sua vita a Melbourne; i suoi genitori infatti decisero di fare ritorno in Italia. Ci siamo sposati giovanissimi e abbiamo messo radici a Roma, con la nascita di due bambini – ha raccontato Bottaro –. All’epoca, io e mio fratello gestivamo una carrozzeria; non avevamo alcun problema, avevamo anche diverse proprietà immobiliari. La scelta di trasferirci a Melbourne non è stata dettata da necessità, forse dalla voglia di assicurare un futuro felice ai nostri figli”.
“Dopo un mese di perlustrazione in terra australiana dai familiari di mia moglie”, lasciandosi alle spalle il freddo pungente dell’inverno italiano per lasciarsi avvolgere dall’afa dell’estate di Melbourne, nel mese di dicembre 1989 Franco Bottaro e tutta la sua famiglia hanno raggiunto l’Australia, “un movimento di massa” come non si vedeva dalle migrazioni del secondo dopoguerra.
“Non solo mio fratello e mia sorella con le loro rispettive famiglie, ma dopo un po’ di tempo siamo riusciti a farci raggiungere anche dai miei genitori e dai miei suoceri”, ha continuato.
Per più di venticinque anni, Franco Bottaro dal Victoria e suo fratello dal Queensland hanno gestito un’attività dedicata alla creazione di caravans, completamente in vetroresina e con modelli unici. “Non era un lavoro di produzione, quindi costava molto realizzare i progetti – ha spiegato – e, dopo la scomparsa di mio fratello in giovane età, ho scelto di fare altro”.
Da dieci anni, ormai, si dedica a un’attività di riparazioni specialistiche di bagni anche se non ha mai abbandonato il lato creativo della sua professione, ammettendo inoltre di “amare profondamente le sfide lavorative”.
“Ricordo con emozione il busto in bronzo che ho realizzato per l’allora premier del Victoria, Jeff Kennet – ha raccontato –. Una mattina, avevo visto sul giornale Herald Sun la foto di un busto in bronzo realizzato per John Howard, allora primo ministro d’Australia. Mi son detto che avrei potuto fare di meglio. Ho quindi mandato una lettera al governo statale proponendo il progetto. Il Premier mi ha risposto entusiasta, inviandomi due fotografie”.
“Oggi, paradossalmente, non so dove si trovi questo busto!”, ha aggiunto ridendo.
Dopo più di trent’anni a Melbourne, decenni ricchi di stravolgimenti, momenti di puro orgoglio e giorni di estremo dolore, Franc o Bottaro vorrebbe ritornare da turista nella sua Roma, la Città Eterna dove non ha fatto più ritorno dopo il trasferimento in Australia.
“Non credo di essermi mai pentito della scelta di lasciare l’Italia, ma la nostra cultura e il nostro modo di approcciarci alla vita non li ho mai dimenticati – ha detto –. Sento di essermi integrato, eppure sono rimasto italiano al cento per cento. Chiaramente viviamo in un altro Paese e quindi mi rendo conto che quando mi esprimo in inglese sono un’altra persona. Anche mio figlio, che aveva otto anni quando abbiamo lasciato Roma, conserva ancora meravigliosi ricordi e continua a chiedermi il perché di questa scelta. Sinceramente, non ho una risposta”.