CANBERRA - Josh Frydenberg ha ribadito e intensificato le sue critiche al primo ministro Anthony Albanese, sostenendo che il capo del governo debba essere ritenuto responsabile sul piano politico e morale dell’attacco terroristico di Bondi Beach.
L’ex ministro del tesoro è tornato sull’argomento durante un’intervista al programma “7.30” di ABC, difendendo le parole pronunciate poche ore prima al memoriale per le 15 vittime della strage.
Secondo Frydenberg, l’attacco contro la comunità ebraica non può essere considerato un evento isolato. Ha ricordato le scene successive al 7 ottobre, quando manifestanti celebrarono la morte di ebrei sui gradini della Sydney Opera House, indicando quegli episodi come l’inizio di una deriva più ampia. Da allora, ha elencato, si sono verificati doxing di artisti ebrei, boicottaggi di attività commerciali, attentati incendiari contro luoghi di culto, attacchi a sinagoghe e persino a centri per l’infanzia, oltre a proteste quotidiane. Tutto questo, ha affermato, è avvenuto “sotto lo sguardo” del governo federale.
Frydenberg ha sostenuto che queste dinamiche abbiano contribuito a creare una comunità radicalizzata, colpendo non solo gli ebrei australiani ma l’intero Paese. A suo dire, il primo ministro era stato avvertito più volte della necessità di interventi più incisivi e non avrebbe agito con sufficiente decisione. Da qui l’accusa diretta: Albanese avrebbe fallito nel proteggere i cittadini e dovrebbe assumersi una responsabilità personale per quanto accaduto.
Durante l’intervista, Frydenberg ha reagito con forza quando la conduttrice Sarah Ferguson ha ipotizzato che le sue dichiarazioni potessero avere una motivazione politica legata a un possibile ritorno sulla scena pubblica. “Sono profondamente offeso”, ha risposto, negando qualsiasi calcolo personale.
Frydenberg ha spiegato che le sue parole nascono da esperienze concrete della sua vita quotidiana, citando la presenza di guardie armate davanti alla scuola dei figli e di pattuglie di polizia fuori dai club sportivi frequentati dalla comunità ebraica.
Nel discorso pronunciato a Bondi, l’ex ministro aveva definito la strage “la più grande macchia per questa nazione”, avvertendo che senza azioni urgenti e straordinarie il Paese rischia nuovi attacchi. Ha chiesto l’istituzione immediata di una Royal Commission e l’adozione di una serie di misure, tra cui il divieto per predicatori dell’odio e organizzazioni estremiste, indicando in particolare Hizb-ut-Tahrir. Ha inoltre sollecitato l’attuazione completa delle raccomandazioni presentate a luglio dall’inviata speciale contro l’antisemitismo, Jillian Segal.
Le sue parole hanno intensificato un dibattito già acceso. L’ex primo ministro John Howard ha criticato Albanese per la mancanza di guida morale nel denunciare l’antisemitismo, pur chiarendo che la responsabilità diretta dei crimini resta degli attentatori. Il ministro degli Esteri Penny Wong ha difeso l’azione del governo, ricordando le leggi contro I discorsi d’odio e i simboli nazisti, ma ha ammesso che “c’è ancora molto da fare”.
Anche l’attuale ministro del Tesoro Jim Chalmers è intervenuto, annunciando 104 milioni di dollari aggiuntivi per la sicurezza degli eventi ebraici e per servizi di assistenza. Chalmers ha detto di rispettare Frydenberg e di non dubitare della sincerità delle sue parole, assicurando che il governo valuterà con attenzione le proposte avanzate.
Il confronto, tuttavia, resta aperto e segna una frattura profonda nel modo in cui la politica australiana affronta il tema dell’antisemitismo dopo Bondi.