Le responsabilità partono da lontano, dai tempi del governo Howard e dei suoi contratti miliardari con la Cina per ciò che riguarda l’esportazione di gas liquefatto. Poi ci hanno pensato i susseguenti governi federali e alcuni statali, come quelli del Victoria e del New South Wales, a rendere la situazione ancora più complicata, imponendo scelte come minimo discutibili, fino ad arrivare al costoso paradosso di essere sul punto di ricomprare, a prezzo maggiorato, il gas che esportiamo.
Ma come si è arrivati a questa bizzarra situazione? Com’è possibile che un paese così ricco di risorse come l’Australia (e quelle di gas naturale non mancano di certo) si ritrovi in questo vicolo cieco, senza vie d’uscita?
Vale quindi la pena di ripercorrere alcune delle vicende che hanno portato agli eventi attuali.
Era il 2002 quando il primo ministro John Howard convocò una conferenza stampa per annunciare, con una visibilissima punta d’orgoglio, che dopo anni di negoziati, si era raggiunto un accordo da 25 miliardi di dollari per fornire gas naturale liquefatto (GNL) alla Cina. Il capo di governo era così entusiasta del contratto che parlò, in termini sportivi, di un “accordo da medaglia d’oro”, facendo riferimento al più grande contratto di esportazione singola del paese in tutta la sua ricca storia mineraria.
Quattro anni dopo, nel giugno del 2006, Howard e l'allora primo ministro cinese Wen Jiabao premettero simbolicamente un pulsante per segnare l'inizio delle consegne di GNL alla provincia cinese del Guangdong. Nove anni dopo, con tanto di accordo aggiuntivo (nel 2007) del valore di 35 miliardi di dollari, il ‘contratto del secolo’ divenne il ‘disastro’ dello stesso secolo: qualcuno, infatti, si accorse che i cinesi avevano fatto “l'affare della vita” perché il consorzio degli operatori della North West Shelf australiana non aveva pensato di inserire una clausola nel contratto che adeguasse il prezzo del gas a quello che, nel 2002, era un livello storicamente basso. Con l'aumento dei prezzi mondiali del combustibile in questione, il prezzo pagato dalla Cina per quella "medaglia d'oro" rimase al minimo storico. Le esportazioni di gas dell'Australia di 3 milioni di tonnellate all'anno derivanti da quell'accordo (rafforzato da un secondo contratto nel 2007) erano state contrattate per rimanere a prezzi stracciati fino al 2031.
Gli accordi, ovviamente, proseguirono anche dopo il cambio di governo a Canberra. Le amministrazioni laburiste di Kevin Rudd e Julia Gillard furono più che felici di continuare ad annunciare enormi esportazioni di GNL verso la Cina, ma anche verso Giappone e Corea del Sud. Il prezzo del gas per la maggior parte dei nuovi accordi era legato al prezzo del petrolio.
Nessuno di questi governi, però, pensò mai di richiedere agli esportatori di destinare una parte della loro ricchezza ai consumatori australiani. Tutto era lasciato al mercato. E il mercato, neanche a dirlo, non andava tanto per il sottile: l’importante non era di certo chi pagava, ma che le entrate continuassero ad arrivare.
Tutti felici all’insegna dell’oggi, o al massimo di un domani strettamente elettorale, fino ad arrivare alla fase dei nuovi obiettivi energetici, della spinta verso le rinnovabili e alla realtà di dover considerare la necessità di importare gas (che rimane un componente chiave della famosa transizione energetica che stiamo vivendo a carissimo prezzo): sia quello australiano venduto così a buon mercato all'estero, sia rivolgendosi ad uno dei Paesi concorrenti in fatto di produzione, il Qatar.
L'industria dell'esportazione di GNL è basata nel Queensland e nel Western Australia. Nel caso dello Stato a nord del Continente, lo sfruttamento delle grandi riserve di gas ha permesso lo sviluppo dell'hub di Gladstone, dove avvengono trasformazione, liquefazione, stoccaggio e trasporto. Grazie al super accordo di Howard, controfirmato da Rudd e Gillard, come accennato sopra, sono stati stipulati contratti di esportazione a lungo termine della durata di 20-30 anni. E, anche se all’epoca degli investimenti iniziali, si è per un attimo discusso se parte del gas dovesse essere riservata all’uso domestico, alla fine il governo decise di non rendere questa una condizione per il rilascio dei permessi di esportazione (e nessun altro governo federale ha corretto il clamoroso errore).
Da allora, due importanti sviluppi hanno influenzato il mercato del gas sulla costa orientale: il primo è l’inevitabile riduzione delle riserve di gas; la seconda è la decisione, specie dei governi del Victoria e del New South Wales, di opporsi alla ricerca e sviluppo di nuovi giacimenti di gas. E per complicare il tutto il governo del Victoria di Daniel Andrews ha pensato bene di fare da battistrada per la non tanto graduale eliminazione dei combustibili fossili (per scopi soprattutto elettorali nel tentativo di tenere a bada i verdi) e di vietare l'uso del gas nelle nuove abitazioni.
E’ scattata così (e l’attuale premier Jacinta Allan non sembra intenzionata a cambiare registro), l'imposizione di un divieto costituzionale sul fracking, il divieto di perforazione convenzionale per il gas, il divieto di utilizzo di apparecchi a gas nelle nuove costruzioni. E ha rifiutato di consentire al gas di essere una componente del meccanismo di capacità per sostenere la rete elettrica quando l’energia rinnovabile non è disponibile.
Il New South Wales non è arrivato a bandi completi, ma ha fissato paletti più che scoraggianti per lo sviluppo del gas nell’area di Narrabri, nonostante la garanzia dell'azienda direttamente interessata nel progetto che il gas sarebbe stato riservato al mercato interno. Scelta piuttosto dubbia in fatto di meriti e opportunità in quanto lo Stato in questione dipende quasi completamente da altri stati per il gas.
Governi ‘colpevoli’ per scelte ideologiche o scarsa visione, ma responsabilità per la crisi che sta influendo enormemente sui costi energetici in generale anche delle grandi aziende, specie in settori industriali che richiedono grandi consumi di gas, che avrebbero potuto stipulare contratti a lungo termine a prezzi fissi, ma che si sono invece affidate al mercato senza cercare di forzare la mano per un intervento riparatore dei governi federale e statali per garantire le forniture.
La situazione ora, secondo la Commissione australiana a difesa dei consumatori (ACCC), è estremamente critica, specie per gli Stati come il Victoria e il New South Wales che dipendono quasi interamente dal gas, per ora, importato da altri Stati, ma con l’esaurirsi delle risorse interne, dovranno davvero rivolgere le loro attenzione all’importazione di gas liquido dall’estero.
E nel quadro dell’assurdo anche la preoccupazione che non riguarda solo il prezzo del gas per gli utilizzatori diretti, ma anche il fatto che il gas è spesso il riferimento per i prezzi dell’elettricità in generale, essendo un fornitore essenziale nel Mercato Elettrico Nazionale. Ancora, come nota l’ACCC, “poiché ci affidiamo sempre più alle rinnovabili per la generazione di energia, il gas sarà necessario per garantire sicurezza, affidabilità e accessibilità dell’energia”.
Tutti, quindi, ora preoccupati e impegnati a cercare soluzioni, ma nessuna ammissione di colpa e meno che meno nessuna inversione di rotta, solo qualche tentativo salva-voti come quello di limitare il prezzo interno del gas a 12 dollari/gigajoule all’inizio della guerra in Ucraina che non ha fatto altro che scoraggiare gli investimenti nel settore, senza particolari benefici, in fatto di prezzi, per i consumatori. Ma non finisce qui: per importare il gas, infatti, bisogna avere anche le strutture necessarie sia per la ricezione del prodotto che per lo stoccaggio. Ci sono diverse opzioni in discussione, tra cui il terminale di Port Kembla (NSW) sviluppato da Squadron Energy di Andrew Forrest e, nel Victoria, un terminale a Corio Bay e uno galleggiante a Port Phillip Bay. Naturalmente con tutti costi e i tempi di attesa per pianificazione e costruzione che si aggiungono al caos generato da governi che, senza alcun imbarazzo e ammissione di avere ‘forse’ sbagliato qualcosa, assicurano di agire e avere agito sempre e solo nell’interesse dei cittadini.