GAZA - Nell’inchiesta sull’uccisione di 15 operatori umanitari a Rafah il mese scorso, le forze armate israeliane hanno ammesso errori ma hanno negato che ci sia stato un “fuoco indiscriminato” contro i mezzi di soccorso e hanno sostenuto che alcune delle vittime erano militanti di Hamas.
La Mezzaluna Rossa Palestinese ha denunciato il rapporto definendolo “pieno di bugie” mentre per Jonathan Whittall, capo dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari in Cisgiordania e Gaza, “la mancanza di una reale assunzione di responsabilità mina il diritto internazionale e rende il mondo un posto più pericoloso”.
I fatti risalgono alla notte del 23 marzo, pochi giorni dopo la rottura della tregua e la ripresa delle operazioni militari da parte di Israele nella Striscia: 15 operatori umanitari sono stati uccisi mentre rispondevano a chiamate di soccorso nel quartiere di Tal al-Sultan a Rafah. Tra di loro c’erano otto medici della Mezzaluna Rossa, più sei membri dell’agenzia di Difesa civile di Gaza e un dipendente dell’Unrwa. I loro corpi erano poi stati seppelliti sotto la sabbia insieme ai mezzi distrutti, recuperati una settimana dopo.
Le autorità mediche palestinesi avevano sollevato il sospetto che alcuni di loro fossero ancora vivi quando si erano avvicinati i soldati israeliani ai mezzi e che potessero essere stati giustiziati. L’incidente ha suscitato un coro di condanne e proteste e la richiesta di “un’indagine rapida e approfondita” è stata avanzata dall’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Turk, insieme a Germania e Regno Unito.
L’Idf (Forze di difesa israeliane) in un primo momento aveva ammesso che le truppe avevano aperto il fuoco contro “ambulanze e camion dei pompieri” che “avanzavano in modo sospetto verso i soldati”, senza farsi riconoscere, dopo un attacco “contro mezzi di Hamas” nel quale erano stati “eliminati diversi terroristi”. Ma un video recuperato dal cellulare di un operatore umanitario ucciso e diffuso successivamente aveva smentito questa ricostruzione, mostrando i mezzi identificabili con i loghi delle organizzazioni e i lampeggianti accesi.
Il capo di Stato maggiore Eyal Zamir aveva ordinato un’inchiesta più approfondita: “L’indagine ha evidenziato diverse negligenze professionali, violazioni degli ordini e una mancata segnalazione completa dell’incidente”, si legge in una sintesi dell’inchiesta. Yoav Har-Even, che ha guidato il team di investigatori, ha ammesso che le truppe hanno commesso “un errore”, smentendo però che si tratti di un problema ricorrente. L’Idf ha inoltre negato che ci siano state “esecuzioni” o che le vittime “fossero legate prima o dopo la sparatoria”.
Nel rapporto si legge che “le truppe non hanno sparato indiscriminatamente”, inoltre si sostiene che sei dei 15 operatori sono stati “identificati retrospettivamente come terroristi di Hamas”. Har-Even ha tuttavia ammesso che non sono state trovate armi addosso ai cadaveri.
Il vice comandante dell’unità di ricognizione della Brigata Golani è stato licenziato per il suo resoconto “parziale e inaccurato” dell’incidente mentre il comandante della 14a Brigata corazzata di riserva, l’unità che guidava l’operazione a Rafah, è stato formalmente censurato per la sua “responsabilità complessiva”.
La Mezzaluna Rossa Palestinese ha respinto i risultati dell’indagine, denunciandolo come un “rapporto pieno di bugie”: “È inaccettabile, poichè giustifica l’omicidio e attribuisce la responsabilità a un errore personale del comando sul campo, quando la verità è ben diversa”, ha dichiarato il portavoce Nebal Farsakh.
Mundhir Abed, un medico della Mezzaluna Rossa sopravvissuto all’attacco, ha raccontato di essere stato picchiato e interrogato dalle truppe israeliane. Anche un altro paramedico è sopravvissuto: l’esercito ha confermato che Asaad al-Nsasrah si trova in custodia, senza dare ulteriori dettagli. “Dato che l’incidente è avvenuto per errore, come sostiene il rapporto, perchè continuano a trattenerlo?”, ha chiesto Farsakh.
Intanto il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich parlando alla radio dell’esercito ha dichiarato che distruggere Hamas è più importante che riportare a casa gli ostaggi ancora trattenuti nella Striscia di Gaza. Inoltre ha affermato che l’obiettivo principale della guerra non è trarre in salvo gli ostaggi: il loro ritorno “è, ovviamente, un obiettivo molto, molto, molto importante, ma chiunque voglia distruggere Hamas e impedire la possibilità di un altro 7 ottobre deve capire che non può esserci una situazione a Gaza in cui Hamas rimanga presente e intatta”, ha affermato Smotrich.
"Prendiamo la decisione di porre fine a Gaza una volta per tutte, costruiamo un rapporto di fiducia con la gente e dimostriamo che stiamo raggiungendo l’obiettivo e distruggendo Hamas", ha dichiarato il ministro. “Le scuse sono finite. Non c’è nessun Biden, nessun Blinken, nessun Gallant, nessun capo di Stato maggiore che si frapponga al blocco degli aiuti umanitari: non ci sono scuse, e dico al primo ministro: non c’è tempo per le chiacchiere. L’alternativa alla resa è conquistare il territorio della Striscia e distruggere Hamas”, ha concluso Smotrich.