GAZA - Israele ha ricevuto il corpo del tenente Hadar Goldin, ucciso in battaglia nella Striscia di Gaza nell’agosto del 2014, un lutto che si protraeva da oltre undici anni. Un morte estranea, quindi, al massacro del 7 ottobre 2023. La salma è stata consegnata da Hamas alla Croce Rossa nel sud della Striscia. 

Il premier Benjamin Netanyahu ha confermato il ritorno del giovane ufficiale, ucciso all’età di 23 anni durante una missione di ricognizione in un tunnel vicino a Rafah. Le analisi forensi hanno confermato l’identità del corpo, rinvenuto – secondo il comunicato delle Brigate di Hamas – in un tunnel nella città meridionale di Gaza. 

Il rimpatrio della salma di Goldin, avvenuto domenica, è un tassello fondamentale nel quadro dell’intesa, mediata dagli Stati Uniti, per la gestione post-conflitto e il cessate il fuoco, in vigore dal 10 ottobre. Goldin è il venticinquesimo corpo restituito a Israele dall’inizio della tregua. 

Sempre domenica è stata restituita la salma dell’argentino Lior Rudaeff, di 61 anni, ucciso il 7 ottobre. L’uomo era nato in Argentina e viveva nel kibbutz Nir Yitzhak insieme a sua moglie Yaffa, dalla quale aveva avuto quattro figli. Lì aveva vissuto 40 anni, prestava servizio nella squadra di risposta alle emergenze del kibbutz e guidava le ambulanze. Il presidente Javier Milei ha espresso la propria solidarietà alla famiglia, confidando “che poter dare sepoltura a Lior porti conforto dopo tanto dolore”.

In totale, dall’inizio del cessate il fuoco, Hamas ha restituito tutti i venti ostaggi israeliani ancora in vita e 24 corpi di prigionieri deceduti, in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi. 

Netanyahu, rallegrandosi per il recupero, ha promesso: “Li riporteremo indietro tutti”. Restano infatti ancora a Gaza i corpi di quattro ostaggi — tre israeliani e un thailandese — sequestrati durante l’attacco dell’ottobre 2023. 

Il ritorno di Goldin era stato ventilato da funzionari israeliani e statunitense come una possibile condizione per sbloccare il negoziato cruciale sul destino dei circa 150 miliziani di Hamas che si troverebbero intrappolati nei tunnel sotto Rafah e Khan Yunis, a causa dell’avanzata delle Forze di difesa israeliane (Idf) in superficie. 

La questione è al centro delle discussioni diplomatiche e del piano di pace di Donald Trump. Il genero e inviato del presidente, Jared Kushner, è arrivato in Israele per incontrare Netanyahu e discutere proprio l’attuazione del piano, necessario anche per avviare la ricostruzione di Gaza, almeno nelle prime porzioni di territorio liberate da Hamas. 

Sul tavolo ci sono proposte, in particolare quella avanzata da una fonte della sicurezza egiziana a Reuters: in cambio di un passaggio sicuro, i miliziani intrappolati consegnerebbero le loro armi all’Egitto e fornirebbero informazioni sui tunnel perché vengano distrutti. 

Tuttavia, le posizioni restano rigide: Israele ha smentito pubblicamente l’esistenza di un accordo di salvacondotto, assicurando che distruggerà “fino all’ultimo tunnel” e che i combattenti palestinesi possono solo scegliere “se arrendersi o morire”. 

Hamas ha respinto l’ipotesi di resa: “Nel lessico delle Brigate Ezzedin al Qassam non c’è posto per il concetto di resa né della consegna al nemico,” ha affermato la fazione. Hamas ha inoltre incalzato i mediatori a trovare una soluzione alla crisi per garantire la continuazione del cessate il fuoco, accusando Israele di aver già violato la tregua in vigore. 

La resistenza dei miliziani, che secondo Channel 12 si sarebbero preparati in anticipo a una lunga permanenza nel tunnel di Jenina a Rafah con scorte di cibo e acqua, ha finora ritardato il passaggio alla “fase due” del piano di pace, cruciale per l’intera regione.