ROMA - L’Italia, come altri Paesi avanzati, fa i conti con un cambiamento demografico che in alcuni casi assume contorni “drammatici”, con ricadute inevitabili su sanità, assistenza, previdenza e debito pubblico. A lanciare l’allarme è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che definisce i dati “spietati” e denuncia una politica che troppo a lungo ha ignorato il problema.
Il governo, assicura, è al lavoro sin dall’insediamento, ma servono strategie di lungo periodo: “Alcune aree del Paese si svuotano, comunità intere muoiono, ma, nonostante ciò il tema non è stato trattato come prioritario”.
I dati dell’Istat confermano la tendenza: nel 2024 la fecondità è stabile al Centro (1,12), ma cala al Nord (1,19) e tocca un minimo storico al Sud (1,20), e sono proprio le regioni meridionali, storicamente più prolifiche, a mostrare le prospettive più critiche. Entro il 2050, infatti, potrebbero perdere 3,4 milioni di abitanti, e quasi 8 milioni entro il 2080.
Da qui l’invito a una revisione dell’approccio, non solo con misure immediate come bonus o riforme fiscali, ma un cambiamento strutturale. Giorgetti cita l’aumento del Pil pro-capite, favorito anche dal calo demografico, come margine utile per politiche “mirate”.
La scuola è un caso emblematico: gli studenti sono in forte calo (-5,2% dal 2018 al 2023), solo in parte compensato da giovani di cittadinanza straniera. Secondo il ministro, sarà necessario “ripensare strutture, personale e spesa”, puntando su una qualità superiore.
Infine, il tema migratorio, che non riguarda solo gli arrivi ma anche le partenze. Giovani formati in Italia scelgono l’estero per lavorare, altri spostano la residenza attratti da regimi fiscali più vantaggiosi. “È un Far West che andrebbe gestito a livello europeo per evitare nuove polarizzazioni tra Paesi ricchi e poveri”, conclude Giorgetti.