La storia di Giuseppe Cannata, classe ‘49, è un intreccio di sacrificio e amore per la famiglia, di legame profondo con le proprie radici e la propria cultura. Ma è anche la testimonianza vivida di una resilienza incrollabile, della capacità di adattarsi a mondi lontani e di reinventarsi, più volte, con coraggio e determinazione.

Quarto dei cinque figli di Francesco Cannata e Giuseppa Serratore, si distingue fin da giovane per la curiosità verso ciò che è diverso e nuovo. Animato dalla necessità di lavorare e dalla voglia di esplorare, da giovane si trasferisce a Roma con il fratello. È qui che vive in prima persona l’ondata rivoluzionaria del Sessantotto, un’esperienza che segna profondamente la sua visione del mondo: “Mi ha aperto nuovi orizzonti e nuovi modi di vivere la vita”, racconta.

Nel 1970 fa ritorno a Francofonte, dove si dedica all’azienda agricola di famiglia e riscopre la semplicità della vita contadina, con i suoi ritmi lenti e autentici. Tre anni dopo, apre una bottega e inizia a lavorare come fabbro, mestiere umile ma ricco di dignità. 

È in questo periodo che incontra Maria, la donna della sua vita, con cui si sposa nel 1974. Dal loro amore nasceranno due figli, Francesco e Fabio.

Seguono anni di spostamenti: prima la Francia, poi di nuovo l’Italia, e infine, nel 1981, l’Australia. “Siamo arrivati qui, tutti insieme, il 31 dicembre. Avevo 33 anni”, ricorda Giuseppe con un sorriso intriso di nostalgia. 

Ma l’entusiasmo iniziale si scontra presto con una dura realtà: l’integrazione è tutt’altro che semplice. La nostalgia per la Sicilia è forte e lo spinge a cercare nella comunità italo-australiana quei suoni e sapori familiari. Tuttavia, anche qui trova difficoltà: “È stato complicato inserirsi, non solo per la lingua, ma anche per la mentalità. Gli italiani emigrati negli anni ‘50 avevano conservato un modo di pensare ancorato a quell’epoca. Era difficile dialogare, anche con chi parlava la mia stessa lingua. Non accettavano il cambiamento, non capivano che i tempi erano cambiati. Ho sofferto molto per questa incomprensione, al punto da cadere in un esaurimento nervoso. Ma ho continuato per la mia strada. Io venivo da un’altra generazione, ho vissuto i moti sessantottini e gli ideali che hanno cambiato l’Italia... E anche me”.

A salvarlo è la poesia. È lì, nella scrittura, che Giuseppe riesce a dar voce a una nostalgia lacerante, a una solitudine profonda. Annota pensieri, compone versi, affida alla carta le sue emozioni più intime. Quegli appunti, cresciuti nel tempo, si trasformano lentamente in una raccolta che vedrà la luce nel 2012: A Rota. Un’opera che è insieme racconto autobiografico, omaggio alla Sicilia, e riflessione sul senso di identità e di appartenenza.

In componimenti come A Luna, U Sulu, U Mari, Giuseppe celebra la bellezza della natura e le sue origini contadine, mentre poesie come L’amicizia o Comu ti chiami – dedicata alla moglie – offrono spunti più intimi e personali. Il testo più toccante resta però A Rota, dedicata ai genitori, da cui prende nome l’intera raccolta. “Questa poesia racconta una storia generazionale – spiega Cannata –. Un padre anziano, seduto al sole davanti alla porta di casa, vede il figlio turbato. Gli chiede cosa non vada e lui risponde che ha difficoltà a comunicare con suo figlio. Proprio in quel momento passa un asino con un carro, la cui ruota gira tornando sempre allo stesso punto, metafora della vita. Ed è lì che il padre gli dice: ‘Anche tu eri difficile così. Parla con tuo figlio’”. 

E proprio dal papà che apprende non solo il dialetto ma anche la passione per la poesia: “La mia prima lingua è stata il dialetto – racconta –. Mio padre era di Modica, mia madre di Francofonte; così da bambino ne parlavo due. L’italiano l’ho imparato a scuola. Questo amore per la scrittura l’ho ereditato proprio da mio padre: aveva poca istruzione, ma era un autodidatta, scriveva e leggeva moltissimo. Da lui ho preso questa passione”.

Il profondo impegno di Cannata per la cultura siciliana e per la valorizzazione della sua comunità ha ricevuto numerosi riconoscimenti: il Premio Internazionale Archimede dall’Associazione Siracusani nel Mondo, il Meritorious Service Award del governo del Victoria, il Premio Carretto Siciliano, la cittadinanza onoraria del Comune di Giarratana e il Premio Internazionale Ragusani nel Mondo.

Oggi, Giuseppe guarda con affetto alla Sicilia, che non ha mai smesso di portare nel cuore: “Ho avuto la fortuna di tornare più volte, e ogni volta è come ritrovare un pezzo di me. Ho ancora un piccolo gruppo di amici che vedo sempre quando torno. Ma l’Australia è dove vivono i miei figli, dove si sono realizzati, e non posso separare il cuore da questo Paese”.

Nella dedica del suo libro si rivolge alle generazioni future: “I bambini sono il futuro del mondo, danno speranza. Aiutarli a crescere in un mondo sano, dove la cultura è rispettata e valorizzata, è l’obiettivo principale”.

Oggi, il suo cammino è un ponte fra passato e futuro, fra Sicilia e Australia, tra radici e rami di una famiglia cresciuta fra due mondi. E nelle sue parole, nei suoi versi, c’è un’eredità preziosa: quella della memoria, dell’identità, dell’amore ostinato per le proprie origini. 

Cannata insegna così con la sua penna che il viaggio vero è quello che ognuno porta con sé, senza mai dimenticare da dove si è partiti.