Non è la prima volta che i ribelli dello Yemen tentano di colpire le risorse saudite per replicare agli infiniti bombardamenti con cui l’aviazione di Riad sta martellando le località in mano agli Houti, colpendo spesso anche la popolazione civile inerme.
Ma fino ad oggi tutti i tentativi erano pressoché falliti o avevano recato solo danni minori agli impianti e per questo l’Arabia Saudita si sentiva abbastanza sicura nonostante numerosi analisti l’avessero messa in guardia della crescente capacità offensiva dei ribelli, che sono sostenuti, nella loro resistenza da Teheran. Ed è proprio all’Iran, che attraverso i suoi pasdaran offre supporto logistico, tecnologico e militare, che si rivolgono le accuse di complicità con l’attacco arrivate dalla Casa Bianca attraverso il segretario di Stato Mike Pompeo il quale dicendo che “non c’è prova che gli ordigni siano partiti dallo Yemen”, punta il dito direttamente su Teheran. Una affermazione che rischia di essere preludio di una vera e propria escalation in tutto il Golfo Persico, ma alla quale l’Iran ha risposto negando qualsiasi tipo di coinvolgimento nell’attacco e bollando quelle del segretario di Stato americano come “menzogne” spinte dalla volontà di mettere sotto pressione Teheran. “Queste accuse ed affermazioni inutili e cieche sono incomprensibili e prive di senso”, ha affermato in una nota il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mussavi sostenendo che esse servono solo a “giustificare future azioni” contro l’Iran.
Ma al di là delle conseguenze dal punto di vista internazionale, il timore più imminente è quello di un colpo durissimo alla produzione e al commercio globale di petrolio che potrebbe immediatamente riflettersi sui prezzi del greggio. Il Dipartimento Usa dell’energia ha infatti già reso noto che gli Stati Uniti sono “pronti a impiegare risorse delle riserve petrolifere strategiche, se necessario, per compensare qualsiasi interruzione dei mercati petroliferi”. E il pericolo è che il contraccolpo si senta in modo pesante sull’intera economia mondiale visto che la Aramco non è soltanto il più grande produttore globale di petrolio, ma anche l’azienda con maggiori entroiti al mondo. Un elemento che ovviamente allarma soprattutto l’Arabia Saudita, le cui autorità hanno dapprima tentato di minimizzare l’accaduto per non diffondere il panico, parlando di situazione sotto controllo, ma poi sono state costrette ad ammettere i danni estesi agli impianti, confermati anche da foto satellitari, e soprattutto le inevitabili ripercussioni sul “mercato” globale. Lasciando il mondo con il fiato sospeso.