Per niente convincente Anthony Albanese nelle ultime interviste sulla rete nazionale ABC. Palcoscenico quasi di casa per il primo ministro, ma esibizioni da dimenticare con un evidente tentativo di evitare di ammettere la strategia salva-voti nel Western Australia.
Inevitabile la gran brutta figura davanti alle telecamere dopo balbettii, tentativi di giustificare il tutto con una presunta mancanza di sostegno nel Senato per l’iniziativa ambientale portata avanti da Tanya Plibersek, il negare di averne parlato con il premier del WA Roger Cook, che ha invece candidamente affermato esattamente il contrario.
Forse sarebbe stato più saggio, e meno imbarazzante, ammettere la scelta politica fatta e meglio ancora se la collega di partito fosse stata avvisata della necessità di farlo, senza creare evidenti frizioni all’interno del partito che stanno emergendo nel momento più sbagliato possibile per un governo in netta difficoltà.
Patto con i verdi per la creazione di un’Authority per proteggere aree a rischio ambientale e le riforme legislative del piano Nature Positive sospesi senza previo avvertimento al ministro che aveva lavorato per ‘confezionare’ il tutto: errore tattico e inopportuno screzio pubblico. Non c’era amicizia fra i due, ma nessuno si aspettava un ‘trattamento’ del genere per un ministro di lungo corso che era già stata penalizzata in partenza quando, all’inizio del mandato, aveva chiesto di mantenere il ruolo che aveva ricoperto all’opposizione di responsabile dell’Istruzione ed era stata invece dirottata all’Ambiente.
Il fatto che, a più riprese, Tanya Plibersek, fosse stata indicata come una possibile futura leader del partito, ha evidenziato ancora di più la spaccatura, ma Albanese in fatto di tatticismi non scherza. Ha troppa esperienza per non saper fare quello che ritiene necessario fare e, in questo momento, i possibili voti da difendere nello Stato che l’ha fatto diventare primo ministro, hanno la precedenza su qualsiasi altra cosa. Ne ha parlato col premier Cook e ha deciso: le compagnie minerarie sono soddisfatte e il settore elettoralmente è troppo importante per correre inutili rischi. E occhi puntati ora sulla Tasmania dove ci sono altre due decisioni ‘ambientali’ (riguardanti la pesca) che potrebbero influire nei collegi di Braddon, Lyons e Bass.
Quella dei rischi minimi è la strategia di base del governo Albanese per la campagna del 2025, come era stata l’essenza di quella del 2022: nessuna rivoluzione, nessuna grande visione per il futuro, nessuna particolare promessa di cambiare il Paese, ma piccoli prudenti passi, senza strafare. Sempre puntando sui pericoli da evitare, a suo dire anche per gli elettori: la volta scorsa legati ad una riconferma di Scott Morrison e ora alla vittoria di Peter Dutton.
Il primo ministro, nonostante le difficoltà del momento, sembra infatti essere convinto che il recupero è dietro l’angolo e comincerà appena il suo avversario sarà costretto ad uscire allo scoperto, a fare delle proposte concrete sulle quali ci sarà modo di discutere e mettere in evidenza le ‘differenze’ di qualità e affidabilità tra programmi e leader.
Sulle convinzioni, la sfida è decisamente aperta. Nessuno sembra averle.
Albanese, per ora, si sta limitando all’elenco delle ‘cose fatte’. Assieme al ministro del Tesoro Jim Chalmers, la scorsa settimana nelle ultimissime battute dei lavori parlamentari per l’anno in corso, e forse per l’intero mandato, è stata fatta la lista dei risultati più importanti raggiunti nei due anni e mezzo di governo, che comprendono: una riformulazione più equa dei tagli fiscali della famosa terza fase della riforma Morrison-Frydenberg; aiuti finanziari e nuovi investimenti per fare fronte alla crisi degli alloggi (affitti e acquisto della prima casa); riforme dei servizi per gli anziani; miglioramenti e riduzione dei costi per asili-nido e centri per la prima infanzia; misure straordinarie, per le famiglie a basso reddito, per far fronte al carovita; creazione di nuovi posti di lavoro nel settore manufatturiero; il piano ‘Future Made in Australia’; il taglio dei debiti universitari (HECS); corsi professionali negli istituti TAFE gratuiti; ristrutturazione della Banca centrale; aumenti salariali per i lavoratori dei servizi di assistenza; riforme delle relazioni industriali e ‘ciliegina’ finale della nuova legge per cercare di proteggere i più giovani (sotto i 16 anni) dai social media.
Una mossa decisamente popolare e astuta quest’ultima, strappandola alla Coalizione (l’idea di partenza era di Dutton) che non ha potuto fare altro che appoggiarla.
Peccato però per il primo ministro che una ‘buona lista’ di cose fatte rimanga in secondo piano, soffocata da realtà più pressanti per gli australiani, alle prese con una recessione ‘individuale’ che sta provando la pazienza e la resistenza della maggior parte dei cittadini e delle imprese: l’inflazione continua a pesare; i costi delle bollette energetiche, nonostante gli aiuti federali, stanno causando enormi difficoltà per decine di migliaia di famiglie e i dati impietosi dell’ufficio centrale di statistica forniscono un quadro più che allarmante della situazione, facendo registrare il peggior declino dello standard di vita dagli anni ’50, con i redditi disponibili ora inferiori del 2% rispetto al periodo pre-pandemia.
Albanese non intende cambiare la strategia vincente che lo ha portato alla Lodge, quindi massima attenzione a non agitare troppo le acque per ciò che riguarda la redistribuzione fiscale, che ha contribuito ad affossare le ambizioni di Bill Shorten nel 2019, e nessuna intenzione di andare in cerca di un coraggio che non ha per proporre qualcosa che possa mettere a rischio il suo rapporto con gli elettori: non crede insomma al motto di Keating che “una buona politica” sia “una buona politica elettorale”.
Meglio non fidarsi e continuare sulla falsariga del 2022, dei traguardi minimi, dell’innovazione più a parole che nei fatti. D’altra parte l’unico spunto coraggioso che ha avuto è finito davvero male: la sconfitta chiara e netta della voce indigena gli ha sicuramente consigliato il ritorno alla cautela in fatto di trasformazioni e accelerazioni di un Paese che non ha mai amato i grandi cambiamenti.
Lo ha sempre pensato Albanese (e sia le bocciature di Shorten che quella del referendum costituzionale lo hanno ancora più convinto) e sembra sia della stessa opinione Dutton che, fino ad ora, non è stato sicuramente molto coraggioso in fatto di proposte alternative.
Al di là delle critiche, dei no di routine e del nucleare da inserire nell’agenda energetica, il leader dell’opposizione si è riportato elettoralmente sotto, sfruttando più i giri a vuoto del governo che offrendo chissà quali soluzioni ai problemi (carovita, inflazione, scarsa produttività, recessione prolungata nascosta dalle regole statistiche di una comunque ansimante crescita, ieri fotografata allo 0,8% su base annuale dopo l’aumento davvero minimo dello 0,3% registrato nel trimestre chiuso a settembre) del Paese.
A complicare il cammino elettorale anche il pizzico di sfortuna, per il governo, dell’anticipato ritorno alla normalità dei prezzi delle materie prime (che avevano regalato due surplus di gestione) e di una ostinata resistenza dell’inflazione che sta continuando a rinviare un’inversione di tendenza sugli interessi che non permettono un significativo miglioramento della vita delle famiglie.
Ci sono malumori, ci sono incertezze, c’è ora la garanzia di un ritorno prolungato in rosso del budget che avranno ripercussioni elettorali con cuscinetti di sicurezza, antispostamento di voti negativo (storicamente quasi certo nella richiesta di un secondo mandato) davvero minimi su cui poter contare.
I precedenti in campo laburista ci sono, con pesanti perdite di consensi nel 1974 del governo Whitlam che però si era presentato alle urne con una maggioranza di nove seggi, nel 1984 l’amministrazione Hawke andò al voto con un vantaggio di 25 seggi e, nel 2010, i 18 seggi in più conquistati da Kevin Rudd nel 2007, avevano permesso a Julia Gillard di formare un governo di minoranza dopo il pari strappato alla Coalizione guidata da Tony Abbott. Ma Albanese, con 78 seggi su 151, non gode di alcun cuscinetto simile.
Anche per questo i sondaggi continuano a puntare verso il male minore, per i laburisti, di un governo di minoranza: verdi e teal, se chiamati a decidere, non si schiereranno di certo con Dutton.