BUENOS AIRES – “Condanno questa vicenda perché credo che la libertà di espressione non possa essere limitata, anche quando si tratta di giornalisti di cui non condivido le posizioni”. Con queste parole Graciela Ocaña ha commentato l’ordinanza giudiziaria che ha impedito ai media argentini di pubblicare gli audio di Karina Milei, registrati alla Casa Rosada.
Ospite della Cena del Lunes del Círculo Italiano, la politica, oggi eletta nella Legislatura della capitale con il suo partito Confianza Pública (centro-destra “dialoghista” con il presidente Javier Milei), condivide le sue esperienze nella lotta alla corruzione.
È stata direttrice del Pami (la mutua dei pensionati), dal 2004 al 2007, durante la presidenza di Néstor Kirchner. Poi ministra della Salute, tra il 2007 e il 2009, con il governo di Cristina. Successivamente ha fondato Confianza Pública, all’inizio vicino ai radicali di Martín Lousteau, poi – dal 2016 – incorporato in Cambiemos.
Con un nonno piemontese, si dichiara grande amica e ammiratrice dell’Italia.
“È evidente che un audio registrato nella Casa di Governo deve essere stato realizzato da un servizio di intelligence – afferma –. Qui non ci sono né i russi, né i marziani, né i venezuelani, né tutte quelle storie. È il governo stesso che ha costruito servizi di intelligence che sono stati persino messi in discussione in Parlamento e ai quali è stato aumentato sostanzialmente il budget”.
Dopo questa premessa, Ocaña è perentoria. “L’Argentina non può imboccare la strada di impedire la diffusione di quel materiale da parte del giornalismo – afferma – perché la libertà di espressione è garantita dalla nostra Costituzione e mi sembra che questo ci riporti a epoche oscure del Paese. Dopo più di quarant’anni di democrazia, mi pare pessimo che questo accada. Non si possono denunciare i giornalisti e credo che quella misura cautelare durerà pochissimo, perché la Corte Suprema in Argentina è molto rigida sulla tutela della libertà di espressione”.
Il suo intervento al Círculo Italiano è focalizzato sulla lotta alla corruzione. E parte dai dati: l’indice di trasparenza che viene calcolato ogni anno in 180 Paesi sulla base della corruzione percepita. L’ultima rilevazione assegna all’Argentina un punteggio di 37 punti su un range che va da 0 (Paesi più corrotti) e 100 (più virtuosi). Un valore che non differisce troppo dalla media storica dal 1995 a oggi, che si attesta a 33.
“In altre parole, siamo sempre nello stesso posto – osserva –. Salvo durante il governo di Macri, quando l’Argentina ebbe un miglioramento sostanziale, la verità è che i governi di tutti i colori politici non hanno fatto grandi cambiamenti rispetto a questo indice”.
In questa prospettiva, i dati sembrerebbero mostrare che la corruzione in Argentina è strutturale, sistemica.
“Una situazione comune a molti altri Paesi a reddito medio come il nostro – sottolinea – Ma in Argentina ha assunto un tono esplosivo, legato l’idea dell’impunità. Questo ha a che fare con un potere giudiziario molto dipendente dal potere politico. E credo che generi nella società l’idea che non si possa fare molto, una giustificazione del ‘si ruba ma si fa’, soprattutto nei momenti in cui l’economia va abbastanza bene”.
È allora che i cittadini mettono il problema in secondo piano. “Senza rendersi conto che, quando parliamo di corruzione, parliamo di un danno”, avverte. Una tangente può fare aumentare dell’8% il prezzo di acquisto di medicinali o del 15-20% il costo delle opere pubbliche. Alcuni studi parlano di di un 8% di Pil che si perde ogni anno.
“Parlare di corruzione significa anche parlare trasparenza – dichiara Ocaña –. Perché se c’è trasparenza, c’è pochissimo margine per la discrezionalità, l’arbitrarietà da parte dello Stato”.
Secondo la politica, la corruzione è come il tango: per ballare servono due persone. “Da un lato il funzionario pubblico che chiede la tangente – dice –. Dall’altro l’imprenditore che, per vari motivi, decide di far parte di quella struttura corruttiva. Spesso perché altrimenti rimane fuori dal mercato. In altri casi, perché è più facile fare affari”.
Esemplare, in questo senso, la sua esperienza nel Pami. “Venivamo dagli anni ’90, con 70 gestori privati che gestivano il terzo bilancio dell’Argentina. Ottenevano un contratto per gestire fino a 600mila associati, senza possedere in proprio nemmeno un posto letto. E allora subappaltavano, in cambio del 15% che restava a loro, ciò che chiamavo ‘intermediazione parassitaria’. Era molto denaro, che equivaleva a servizi che non venivano erogati”.
Sotto la sua gestione, questo sistema viene rotto, per creare un rapporto diretto con i fornitori. Così il Pami è passato da 70 contratti a 7.000 fornitori tra cliniche e laboratori, più di 8.500 medici di base, 7.000 specialisti.
“Nessuno era più ‘padrone’ del contratto e tutti potevano entrare come fornitori diretti – ricorda –. E poi trasparenza nelle gare d’appalto: abbiamo annunciato pubblicamente cosa volevamo comprare e con quali caratteristiche, per consentire a tutti di partecipare. Questo ha ridotto i costi, creato posti di lavoro e nuove opportunità”.
Per Ocaña, la corruzione si combatte anche riducendo la burocrazia inutile e applicando controlli seri. In questo senso, conclude, “serve che la giustizia che agisca e che il governo non distrugga gli organi di controllo. Perché se li elimina, alimenta la corruzione. Il presidente Milei deve capire che i controlli non sono un nemico ma un alleato”.