A casa, una prima bimba di due anni. La donna è robusta, sudata, contratta, la coperta ripiegata sull’addome. In sala visite, sposto la coperta. L’addome è quello di una donna gravida, almeno al settimo mese. La visito e guardo basita la solida infermiera dal cuore grande, con quarant’anni di esperienza in Pronto Soccorso, che stimavo e ammiravo con gratitudine perché mi insegnava tanto e mi dava sicurezza: “Ma qui c’è la testa!”, le dico con l’adrenalina che sale a razzo e il cuore che batte a mille. “Di corsa in sala parto!”, dice lei, che rapida ricopre la signora e mi aiuta a spingere la barella lungo il corridoio sotterraneo che dal Pronto Soccorso della Divisione Ostetrica di Padova porta alla sala parto della Clinica Ostetrica. Mentre usciamo dalla sala visite, dico al volo al marito e alla mamma della signora: “Nessun addome acuto. Diventerete papà e nonna, se Dio ci aiuta”. E via di corsa.

Tre minuti dopo, ben assistita dall’ostetrica di turno, la signora partorisce un bambino di 2500 grammi, vispo e forte. Come di regola, faccio vedere il bambino alla signora, tenendolo tra le braccia, ben avvolto. Sono emozionata e felice, dopo quel picco di adrenalina e preoccupazione, nel vedere che tutto si è risolto con la nascita di un bimbo sanissimo. Mi sembra un miracolo, uno stupendo regalo della vita. In più un bel maschietto, dopo la bimba, nascita che qui in Veneto, e non solo, renderebbe felici la maggioranza dei neo genitori. “Legga il numero di identificazione, signora, per favore, il suo e quello del piccolo, grazie. È lo stesso numero, è il suo bambino appena nato, vede?”. Le mostro i genitali: “Vede signora che è un bel maschietto?”. Lei lo guarda come se fosse spazzatura. Volge lo sguardo dalla parte opposta, dicendo decisa: “Se sapevo, abortivo”. Un pugno nello stomaco m’avrebbe fatto meno male. Mi vengono le lacrime, intuendo in un secondo il futuro di quel bambino. “Se non lo vuole, lo tengo io”, le dico d’istinto, parole che mi escono urgenti dal cuore. “No, ormai è fatta. Me lo tengo”. È possibile che la signora, sposata e già con una figlia, non si fosse accorta della gravidanza? Che non se ne fosse accorto il marito? E nemmeno la madre o altri familiari? Possibile che ci fosse stata una cecità collettiva di tale portata? Mi è tornata in mente, quella notte drammatica, in questi giorni di dibattito sulle gravidanze nascoste: il lato oscuro della maternità. Sono rare? No. Gli studi scientifici mostrano che quell’episodio, e la tragedia del doppio infanticidio di Traversetolo, sono la punta dell’iceberg di un fenomeno sommerso e inquietante. La gravidanza “criptica”, nascosta, è descritta in circa una gravidanza su 475, nel primo trimestre; una gravidanza su 2455 arriva al parto.

Due sono le tipologie maggiori. Nel primo gruppo rientrano le gravidanze “non percepite”, negate a sé e agli altri, in cui la donna arriva al parto senza sapere di essere incinta. Qui il motivo principale dichiarato dalla donna è: “Non ho avuto nessun sintomo che facesse pensare a una gravidanza”. Come è possibile, ci si chiede? Può succedere in una donna sovrappeso, o obesa, che abbia mestruazioni irregolari. La mancanza di ciclo, l’aumento di peso e del volume dell’addome possono essere banalizzati: “Sì, si è bloccato il ciclo e sono ingrassata un po’”, se non ci sono altri sintomi, fra cui la nausea del primo trimestre, e se i movimenti del piccolo, ben avvertibili dal sesto mese in poi, sono interpretati come “movimenti intestinali”. Oppure, possono ingannare piccole perdite di sangue “al giro del mese”, in coincidenza con le mestruazioni attese, mentre di fatto sono minacce d’aborto: nella donna obesa, l’assunzione della pillola contraccettiva può essere inefficace perché la diluizione plasmatica e tessutale del farmaco, dovuta al peso elevato, non fa inibire l’ovulazione: la donna è convinta di essere protetta, a volte può avere un piccolo ciclo indotto dalla pillola e arriva al parto ignara. Oppure la negazione nasce da una patologia psichiatrica, la psicosi o la schizofrenia.

Nel secondo gruppo, la donna sa bene di essere gravida, ma lo nasconde a tutti. Vive il figlio come un “oggetto scomodo” di cui liberarsi con comportamenti lesivi per il feto, dalla severa restrizione alimentare, all’assunzione di alcol o droghe, e con il parto effettuato in solitudine, che spesso esita in infanticidio.

Perché famiglia e partner non vedono nulla? La gravidanza nascosta ci interroga su aspetti oscuri e inquietanti della maternità. Non riconosciuti, possono finire in tragedia. E nella morte di bimbi innocenti.

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