Anthony Albanese si trova alla guida del Paese in uno dei momenti più difficili, su scala mondiale, che si possa ricordare. La guerra scoppiata nelle ultime 72 ore tra Israele e Iran, che ha ulteriormente infiammato il Medio Oriente e che presenta rischi di eccezionale entità per il mondo intero, va ad abbinarsi al dramma infinito che si consuma sulla Striscia di Gaza, al conflitto che non sembra avere via d’uscita in Ucraina, alle tensioni crescenti sulle intenzioni di Pechino nei confronti di Taiwan.
Una serie di crisi senza precedenti mentre un po’ tutti i Paesi occidentali si trovano, simultaneamente, alle prese con la realtà del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che ha radicalmente sconvolto il mondo e i suoi equilibri politici, commerciali, diplomatici, economici.
Nella sua seconda missione all’estero, dopo la schiacciante vittoria elettorale del 3 maggio, il primo ministro ha fatto una breve tappa a Fiji dove ha incontrato la sua controparte Sitiveni Rabuka, ha quindi avuto colloqui con il mondo dell’alta tecnologia a Seattle (specie al riguardo di nuovi investimenti miliardari di Amazon in Australia) prima di giungere in Canada per il vertice dei G7 dove sicuramente incontrerà in una serie di bilaterali, ai margini del vertice stesso, oltre al padrone di casa, il primo ministro Mark Carney, il leader britannico Keir Starmer e i nuovi capi di governo della Corea del Sud, Lee Jae-myung e del Giappone, Shagaru Oshiba.
Confermato per domani, martedì, un ‘tu per tu’ con Trump con, in agenda: dazi, l’accordo AUKUS sui sommergibili nucleari, la Difesa, i rapporti con la Cina e Israele (specie dopo gli ultimi sviluppi dell’attacco all’Iran). Non ci saranno ovviamente decisioni immediate, ma il colloquio è sicuramente essenziale per cercare di aprire la strada a una nuova fase della partnership tra due alleati da sempre, che stanno incontrando qualche difficoltà di troppo a causa dell’imprevedibile nuovo corso della nuova amministrazione Usa.
Un incontro (salvo ripensamenti dell’ultimissima ora) che potrebbe rivelarsi fondamentale per superare le barriere commerciali che Trump ha costruito senza guardare in faccia nessuno, che servirebbe non solo ai due Paesi, ma anche per ristabilire un minimo di ottimismo in generale e dinamismo economico in un momento di estremo bisogno a tutti i livelli.
E mentre i riflettori internazionali sono puntati su guerre e dazi, quelli interni si sono già accesi sul tema clou del secondo mandato del governo laburista. Il ministro del Tesoro Jim Chalmers l’aveva promesso in un’intervista televisiva il giorno dopo la storica, per dimensioni, vittoria elettorale: i prossimi tre anni avranno come tema portante l’aumento della produttività.
E dopo le note vicissitudini interne della Coalizione e un attimo di meritata pausa politica per assorbire fino in fondo l’entità del successo alle urne, Albanese nel primo intervento ufficiale post-elettorale della scorsa settimana ha ribadito l’impegno, affidando a Chalmers il compito di coordinare un mini-vertice di tutte le parti interessate (imprese, sindacati, esperti economici, organizzazioni assistenziali, governo) per delineare la strada da seguire. Ancora una volta un summit, in stile Hawke, nell’immediato dopo elezioni, con il ministro del Tesoro chiamato a recitare un ruolo in stile Keating.
Due ‘idoli’ del passato sia di Albanese sia di Chalmers, che non sarebbero di certo dispiaciuti di poterli emulare con riforme da ricordare negli anni a venire: rafforzamento del Medicare, nuovo sistema universale di servizi per l’infanzia e svolta produttività per un nuovo ‘miracolo’ economico, politico e sociale.
Il problema della (scarsa) produttività è un problema dei tempi moderni, che non interessa solo l’Australia, con quattro handicap di partenza che riguardano un po’ tutti i Paesi occidentali: investimenti insufficienti nell’innovazione, lunghi processi di approvazione che soffocano l’attività imprenditoriale, divario crescente tra le competenze della forza lavoro e quelle richieste da una tecnologia in costante evoluzione, capitali che si dirigono, per ritorni più immediati, verso settori a bassa crescita di produttività come (particolarmente accentuato il caso qui in Australia) l’edilizia abitativa.
Ben venga quindi il vertice di agosto che dovrebbe avere meno partecipanti di quello su lavoro e competenze che Albanese aveva organizzato nel 2022, “perché - ha spiegato il primo ministro – in questo caso si affronta un insieme più mirato di temi”. Ulteriori dettagli arriveranno questa settimana e sembra che il governo abbia già in mente alcune idee da proporre e sviluppare ulteriormente, soprattutto con una certa rapidità.
Una delle priorità potrebbe essere quella della mancanza di alloggi con noti problemi riguardanti ostacoli normativi a livello statale e locale. Un’altra riguarda il riconoscimento di qualifiche e specializzazioni che alimenta il problema della scarsa produttività, ma che viene difeso dai diretti interessati dal punto di vista della prudenza e delle regole, con l’evitare compromessi che potrebbero significare meno protezioni e maggiori rischi.
I datori di lavoro affermano che diverse leggi e regolamenti delle relazioni industriali ostacolano cambiamenti che potrebbero aumentare la produttività, ma un governo laburista, fortemente connesso al movimento sindacale, darà sicuramente sempre prima ascolto alla propria base industriale. Infatti, alla domanda, martedì scorso al Circolo della stampa, sul suo messaggio ai rappresentanti d’impresa che saranno presenti al summit, Albanese ha risposto: “Ognuno è libero di sollevare ciò che vuole. Ma io sono un primo ministro laburista”.
Sull’agenda, come in tutti i tipi di vertice di questi ultimissimi anni, il capitolo dell’intelligenza artificiale che offre grandi opportunità per migliorare la produttività. Ma ha come, abbastanza scontato, rovescio della medaglia, la perdita di posti di lavoro e dislocamenti lavorativi. Il ministro dell’Industria Tim Ayres, intervenendo in proposito, ha dichiarato: “Presterò particolare attenzione a come possiamo rafforzare la voce e la capacità decisionale dei lavoratori mentre la tecnologia si diffonde in ogni luogo di lavoro dell’economia australiana. Non vedo l’ora di lavorare con il movimento sindacale su tutto questo”.
Un messaggio che, sicuramente, non è stato particolarmente apprezzato dal mondo imprenditoriale che continua vedere un’inversione di tendenza sempre più ferma e decisa a favore di ‘diritti’ dei lavoratori che faticano a tenere il passo con le necessità produttive del presente.
Sebbene il governo stia segnalando l’intenzione di intervenire in modo concreto sulla produttività, il primo ministro ha sottolineato, anche nell’intervento della scorsa settimana, di non voler superare quelli che considera i limiti del suo pur ampio mandato elettorale. Niente stravaganze e niente sorprese, in pieno rispetto degli elettori.
E poi, summit o no summit, è difficile trovare strade che non siano già state esaminate in decine di studi e relazioni, con innumerevoli raccomandazioni che non sono mai state portate interamente avanti. Ben vengano altre ancora, ma soprattutto è essenziale che il governo trovi il coraggio di formulare un piano vero, e semplice al punto giusto, da portare avanti ben sapendo che non può aspettare altri tre anni per chiedere il mandato popolare per attuarlo.
Nonostante un decennio di espansione economica costante, la produttività è in calo, con tassi di crescita annuali scesi fino all’1,1%. Questo rallentamento minaccia la prosperità a lungo termine del Paese, poiché ostacola la crescita salariale, riduce la competitività e limita la capacità del governo di finanziare i servizi essenziali. In risposta a queste sfide, Albanese e Chalmers cercheranno quindi di portare avanti, con la collaborazione di tutti, il discorso già iniziato nel dicembre dello scorso anno quando lo stesso ministro del Tesoro aveva chiesto alla Commissione produttività di individuare alcune aree prioritarie di riforma per affrontare il problema dal punto di vista strutturale.
La Commissione aveva individuato 15 aree d’intervento che verranno riproposte al summit di agosto e che includono la revisione del sistema fiscale, la riduzione degli oneri normativi e l’accelerazione dei processi di approvazione dei grandi progetti. Ai sindacati verrà offerta l’idea di un nuovo modello produttivo che bilanci la crescita economica e la responsabilità sociale, garantendo quindi che i benefici derivanti dai miglioramenti della produttività siano equamente distribuiti.
Buone intenzioni quindi per creare un ambiente favorevole a una crescita economica sostenibile, cercando di superare le cause della stagnazione produttiva attraverso riforme mirate e condivise.