TEL AVIV – Hamas ha ribadito che non accetterà il disarmo finché non verrà istituito uno Stato palestinese sovrano, in risposta a una delle richieste chiave di Israele nei colloqui sul cessate il fuoco a Gaza.

Il gruppo terrorista palestinese ha affermato di avere risposto alle dichiarazioni attribuite all’inviato per il Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Steve Witkoff, secondo cui Hamas avrebbe “espresso la sua volontà” di deporre le armi. Israele ritiene che il disarmo di Hamas sia una delle condizioni fondamentali per qualsiasi accordo volto a porre fine al conflitto. I negoziati indiretti tra Israele e Hamas per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi si sono bloccati la scorsa settimana. 

Tra le macerie di Gaza intanto si continua a morire nel caos dei raid e dei combattimenti. Almeno 51 le vittime nell’ultima giornata, incluse dodici persone che erano andate in cerca di cibo, secondo quanto denunciato dal ministero della Sanità controllato da Hamas.

E con la popolazione civile sempre più stremata, si moltiplicano gli sforzi della comunità internazionale per far arrivare beni umanitari nella Striscia con ogni mezzo, anche dal cielo: un’operazione a cui ha iniziato a collaborare anche l’Italia. A soffrire sono anche gli ostaggi, una ventina quelli ritenuti ancora vivi.

L’inviato Usa Steve Witkoff ha incontrato i familiari degli israeliani ancora in ostaggio a Gaza, che sono rimasti ulteriormente turbati da un video shock diffuso da Hamas: il giovane Evyatar David ridotto a uno scheletro sotto un tunnel, in un cupo parallelismo con i gazawi che muoiono di fame.

Ancora più macabro è il particolare di David che con una pala scava una fossa che potrebbe diventare la sua tomba. Con le trattative sulla tregua impantanate da settimane, la scarsità di cibo si conferma la minaccia più grande oltre ai proiettili per la popolazione, ha avvertito l’Integrated Food Security Phase Classification, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite e di altri organismi.

A farne le spese sono soprattutto i bambini. Sono 320mila a rischio di malnutrizione, ha avvertito l’Unicef, che ha anche aggiornato il drammatico conteggio delle vittime in questi 22 mesi di guerra: “Oltre 18.000 quelli uccisi, una media di 28 giorno, l’equivalente di una classe scolastica”.

Sul fronte degli aiuti, la crescente pressione internazionale ha spinto il governo Netanyahu a favorire un maggiore afflusso di beni umanitari. Nelle ultime ore, 90 pacchi sono stati paracadutati da cinque Paesi: Emirati Arabi Uniti, Giordania, Egitto, Francia e Germania. 

Nel frattempo, grazie al lavoro dell’ambasciata italiana a Tel Aviv, sono stati sbloccati i beni umanitari che si trovavano nel porto di Astol, come tende e alimenti per animali, ha reso noto il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Berlino ha riconosciuto il limitato miglioramento delle consegne a Gaza, ma ha avvertito che è ancora “insufficiente”. 
Il governo tedesco, che nei giorni scorsi ha abbandonato la tradizionale cautela invocando l’inizio di una trattativa per la nascita di uno Stato palestinese, si è riunito per valutare nuove forme di pressione su Israele: tra le opzioni, anche un parziale stop alla vendita di armi.

Gli Stati Uniti fanno una valutazione diversa della situazione umanitaria a Gaza. “C’è scarsità di cibo, ma non c’è fame”, ha assicurato l’inviato Steve Witkoff, dopo aver visitato i centri di distribuzione. 

L’emissario di Donald Trump ha ammesso che le trattative sono “complicate” e ha confermato la linea della Casa Bianca: bisogna trovare un accordo complessivo, e non parziale, che porti alla fine della guerra e al ritorno di tutti i rapiti a casa.

Benjamin Netanyahu non ha ancora deciso come procedere, ma secondo fonti interne ci sono due opzioni: accerchiare Gaza City e altri centri abitati, oppure occupare la città.