ROMA – L’incidente che ha paralizzato per ore l’aeroporto di Copenaghen, con diversi droni avvistati nello spazio aereo danese e norvegese, riporta al centro dell’attenzione la questione della sicurezza aeroportuale. Cristiano Baldoni, ingegnere aeronautico, ex amministratore delegato di D-Flight e dirigente Enav, oggi consulente, invita alla prudenza nelle interpretazioni ma non ha dubbi sull’origine locale dei velivoli.
Secondo Baldoni è fuori discussione che i droni siano russi: “È impensabile che un drone possa partire dalla Russia e arrivare in Danimarca senza essere intercettato. Non per i limiti tecnologici e di autonomia, ma perché dovrebbe attraversare vasti spazi aerei ipercontrollati. Le immagini viste in televisione mostrano droni con luci di posizione lampeggianti: non erano stealth, ma visibili. È chiaro che siano stati fatti decollare in loco”.
Alla domanda su quale fosse l’intenzione, l’esperto ha risposto che certamente “non è quello di colpire fisicamente un aereo, se fosse stato quello l’intento, avrebbero potuto farlo facilmente”. Lo scopo, secondo l’esperto, potrebbe essere quello di diffondere il panico, provocare perdite economiche e bloccare le operazioni aeroportuali. “In poche ore di blocco le conseguenze si riflettono a livello continentale”, spiega.
È difficile dire chi possa esserci dietro: “Potrebbero essere agenti russi, turisti o cittadini danesi. L’unica certezza è che fossero persone presenti sul posto”. Senza contare che potrebbe essere stata un’azione inconsapevole: non è facile stabilire se fossero a conoscenza “della gravità delle loro azioni” o se abbiano “agito maliziosamente, sapendo bene che avrebbero provocato la chiusura degli aeroporti”.
A proposito di antecedenti simili a quello di Copenaghen, Baldoni ricorda il caso di Gatwick, a Londra: “Per giorni lo scalo restò paralizzato. Da allora molti aeroporti si sono dotati di sistemi di drone detection, che però funzionano solo quando il drone è già in volo. Non possono impedirne il decollo”.
L’uso di sistemi di abbattimento “è un tema delicatissimo”, spiega l’ingegnere aeronautico. “Solo le forze dell’ordine possono impiegare sistemi d’arma, anche elettronici. E abbattere un drone in un aeroporto è rischioso: bisogna considerare dove cade e i possibili danni collaterali. Ci sono progetti sperimentali, dai droni ‘cacciatori’ con reti al jamming dei segnali Gps. Quest’ultimo è usato in Ucraina, ma disturba anche la navigazione civile, come dimostrato dall’incidente che ha coinvolto la presidente von der Leyen”, continua Baldoni.
“Secondo il report Easa 2024, ci sono stati pochissimi incidenti – prosegue l’esperto –. In Italia ci sono segnalazioni di avvistamenti, ma nessun evento con conseguenze materiali”.
Alla domanda sugli scenari più fantasiosi ipotizzati da alcuni, come un lancio da un sottomarino, Baldoni spiega che sebbene esistano prototipi di droni espulsi dai tubi lanciasiluri, normalmente “sono mezzi molto piccoli. Qui si è parlato di droni più grandi, quindi lo ritengo improbabile. Certo, tecnicamente un sottomarino potrebbe emergere, far decollare un drone e poi farlo precipitare in mare, spiegandone la scomparsa. Ma resta un’ipotesi di fantasia, non la più concreta”.
Infine, l’ex amministratore delegato di D-Flight avverte sulla necessità di “affrontare il problema in modo serio, non solo accademico. Le contromisure vanno rafforzate adesso, prima che un episodio simile (all’incidente di Copenaghen) porti a conseguenze ben più gravi”.