“I film sul tennis? Noiosissimi. Il protagonista non è mai credibile. Non si possono imitare certe cose, certi movimenti. Dell’ultimo che ho visto, ‘Borg vs McEnroe’ ho però apprezzato Sverrir Gudnason, l’attore che fa la parte di Borg: è davvero identico al campione svedese, almeno in quanto ad espressioni”. Così Adriano Panatta, uno che di tennis se ne intende. Il campione, tra i protagonisti del documentario “Una squadra” di Domenico Procacci con il racconto della vittoria dell’Italia in Coppa Davis nel 1976 contro il Cile, si dice subito un vero appassionato di cinema. “Da ragazzo non avevo tanto tempo per andare al cinema, ma quando potevo ne facevo una bella scorpacciata guardando di tutto, da commedie molto leggere a film come ‘Transformers’ e ‘Caos calmo””.

I film preferiti?

“Tutti quelli che mi stupivano e oggi mi stupiscono. Mentre tra gli attori più amati ci sono sicuramente Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Proprio in questi giorni ho visto ‘Poveri ma belli’. Quello era davvero cinema d’avanguardia”. 

Dove sta andando lo sport?

“Sicuramente non è più quello di una volta, è ormai più biomeccanica che talento. Il tutto praticato da atleti super allenati, più alti, più forti e più veloci di quelli di prima : il talento, data la velocità estrema, è più difficile che emerga”. 

Com’è cambiato il tennis?

“Totalmente. C’è molta più professionalità, interessi e business. Basti pensare che ai miei tempi quando dovevo giocare all’estero ero io che mi compravo il biglietto e poi andavo a Fiumicino”. 

Tra i migliori tennisti italiani di sempre, Panatta nel suo palmares vanta 10 tornei del circuito maggiore in singolare su 26 finali disputate, oltre a 18 titoli in doppio su 28 finali. Nel 1976, il suo anno magico, trionfò in singolare agli Internazionali d’Italia e al Roland Garros, unico tennista italiano ad aver centrato l’accoppiata nella stessa stagione e, in era Open, ad aver conquistato una prova del Grande Slam. Nello stesso anno contribuì, inoltre, all’unica, storica, vittoria della Coppa Davis da parte della nazionale italiana. È stato numero 4 del mondo nell’agosto del 1976, miglior classifica ATP mai raggiunta in singolare da un tennista italiano dall’introduzione del sistema di calcolo computerizzato. Al Roland Garros è stato inoltre l’unico giocatore al mondo in grado di sconfiggere il sei volte campione del torneo Borg. Oltre alla vittoria della Davis del ‘76 raggiunse in altre tre occasioni la finale. Vinse per sei anni consecutivi il titolo ai Campionati italiani assoluti, dal 1970 al ‘75. Nel 1980, insieme a Paolo Bertolucci, si aggiudicò la prova di doppio a Monte Carlo, unico titolo conquistato nell’era Open da una coppia italiana nel torneo del Principato.

Nella vita di Adriano Panatta anche la grande passione per l’Offshore...

“Come ci sono arrivato? È semplice: le mie due grandi passioni sono il mare e motori e così non potevo che praticare questo sport che ho fatto per ben 25 anni, molto più a lungo del tennis. Uno sport in cui ho rischiato di morire almeno tre o quattro volte, ma se hai dentro quella passione vai avanti e lo fai rischiando”.

Come vede Roma ora che vive a Treviso?

“Vengo nella capitale ogni mese e la vedo come una bellissima signora con tante rughe, una signora però che dovrebbe andare dal parrucchiere più spesso”. 

Da bambino, ha confessato, voleva fare il medico, ma poi è la vita che ha scelto per lui...

“Nessun pentimento, so di aver fatto molti errori e oggi con l’esperienza di uomo di 72 anni ne farei sicuramente meno. Comunque sono sempre stato me stesso mi è solo cambiata un po’ la voce”.

Quelle magliette rosse messe nella finale di Coppa Davis contro il Cile di Pinochet?

“No. Non avevamo alcuna coscienza politica. Eravamo incoscienti, ma molto arrabbiati e vedevamo quello che succedeva come un’ingiustizia. Oggi, però, giocherei con la maglietta ucraina”.