WASHINGTON - Questa settimana i leader mondiali, gli alti ministri e le figure chiave della diplomazia climatica hanno riaffermato, uno dopo l’altro, il loro impegno nei confronti dell’Accordo di Parigi, in risposta alla decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dal patto. 

La prospettiva che il mondo mantenga le temperature a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali, come richiesto dal trattato, è stata danneggiata dalla mossa del presidente degli Stati Uniti. Le speranze di raggiungere l’obiettivo si stavano già rapidamente allontanando e l’anno scorso gli Usa sono stati i primi a superare costantemente il limite di 1,5°C, ma l’obiettivo sarà misurato nell’arco di anni o addirittura decenni e tagli rigorosi alle emissioni ora potrebbero ancora fare la differenza. 

Oltre a ritirarsi dall’Accordo di Parigi, Trump ha abolito molti dei limiti e degli incentivi per ridurre l’uso dei combustibili fossili e ha segnalato la sua intenzione di continuare a sostenere le grandi compagnie petrolifere. Gli Stati Uniti sono il principale esportatore di gas al mondo e la produzione di petrolio è salita a livelli record sotto Biden.

Questi fattori potrebbero contrastare i progressi compiuti negli ultimi anni con le energie rinnovabili in tutto il Paese, in parte grazie all’Inflation Reduction Act di Biden. Adair Turner, presidente del thinktank Energy Transitions Commission, ha affermato che le azioni di Trump potrebbero aggiungere circa 0,3°C al riscaldamento globale e spingere altri Paesi a ridurre i loro sforzi di taglio delle emissioni di carbonio. 

Tuttavia, altri Paesi hanno fatto progressi senza, o addirittura nonostante, gli Stati Uniti. Dopotutto, anche Trump ha iniziato il processo di ritiro durante la sua ultima presidenza, anche se è entrato in vigore solo quando ha lasciato l’incarico. Prima di allora, gli accordi internazionali sull’azione per il clima sono stati bloccati per anni sotto la presidenza di George W. Bush. 

Gli Stati Uniti si uniscono ora a una manciata di Stati, tra cui Libia, Iran e Yemen, nel rifiutare l’accordo del 2015. Sebbene gli Stati Uniti siano stati a lungo una delle due maggiori fonti di emissioni di gas serra al mondo, insieme alla Cina, la loro importanza è diminuita con il rapido aumento della quota di emissioni di carbonio a livello globale da parte dei Paesi in via di sviluppo. 

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ne ha parlato in discorso al World Economic Forum di Davos: “L’accordo di Parigi continua a essere la migliore speranza per tutta l’umanità. Quindi l’Europa manterrà la rotta e continuerà a lavorare con tutte le nazioni che vogliono proteggere la natura e fermare il riscaldamento globale”. 

Wopke Hoekstra, commissario Ue per il clima, ha scritto sui social media che la decisione di Trump è stata “uno sviluppo davvero spiacevole”, ma che “nonostante questa battuta d’arresto, rimaniamo impegnati a lavorare con gli Stati Uniti e con i nostri partner internazionali per affrontare la pressante questione del cambiamento climatico... L’Accordo di Parigi ha basi solide ed è qui per rimanere”. 

Dal Regno Unito, Ed Miliband, segretario per la Sicurezza energetica e l’azzeramento delle emissioni, ha dichiarato martedì a una commissione della Camera dei Lord che “cercherà di trovare un terreno comune” con Trump e che è ancora “nell’interesse nazionale” degli Stati Uniti cercare di affrontare la crisi climatica. “Siamo forti sostenitori dell’Accordo di Parigi”, ha dichiarato. “Credo che questa transizione (verso l’energia pulita, ndr) sia inarrestabile”. 

William Hague, ex segretario britannico agli Esteri, ha scritto sul Times: “Per un Paese che ha appena vissuto i devastanti incendi di Los Angeles e che deve affrontare uragani sempre più terrificanti, abbandonare l’Accordo di Parigi sul clima e rimuovere tutti i limiti all’uso dei combustibili fossili significa vivere nella negazione”. 

Kim Darroch, ex ambasciatore del Regno Unito negli Stati Uniti, e John Ashton, inviato del Regno Unito per il clima dal 2006 al 2012, hanno scritto al giornale chiedendo a chi negli Stati Uniti è ancora impegnato nell’azione per il clima, di lavorare con i partner internazionali. “Il fallimento climatico impoverirà tutti noi e renderà il nostro mondo una polveriera ancora più insicura. Dobbiamo ora lavorare con coloro che, negli Stati Uniti e altrove, comprendono l’imperativo di porre fine all’era dell’energia fossile il prima possibile”. 

Steven Guilbeault, ministro canadese dell’Ambiente e dei cambiamenti climatici, ha dichiarato ai giornalisti: “È deplorevole che il presidente degli Stati Uniti abbia deciso di ritirarsi dall’Accordo di Parigi. Purtroppo, non è la prima volta. L’Accordo di Parigi è più grande di un solo Paese, sono 194 Paesi che collettivamente hanno continuato a combattere il cambiamento climatico nonostante l’assenza degli Stati Uniti. Nonostante il governo federale non sembri più interessato a combattere il cambiamento climatico, vediamo un grande sostegno da parte degli Stati americani e del settore privato. È ironico che il Presidente faccia questo mentre la California sta attraversando la peggiore stagione di incendi boschivi della sua storia”. 

In una dichiarazione congiunta, il gruppo sul cambiamento climatico ha affermato che: “Questa decisione è una minaccia diretta agli sforzi globali per limitare l’aumento della temperatura e scongiurare gli impatti catastrofici del cambiamento climatico, in particolare per le nazioni più vulnerabili del mondo. 

L’Africa, già in prima linea nella crisi climatica, si trova ad affrontare un’escalation di siccità, inondazioni ed eventi meteorologici estremi, che minacciano vite e mezzi di sussistenza, aggravano l’insicurezza alimentare e destabilizzano le economie. Il ritiro della leadership degli Stati Uniti diminuisce il fondamentale sostegno finanziario e tecnico necessario per adattarsi a queste sfide, lasciando che le nazioni vulnerabili sopportino un fardello ingiusto. 

Il presidente del gruppo dei Paesi meno sviluppati, Evans Njewa (Malawi), ha dichiarato su X: “Deploriamo profondamente i piani degli Stati Uniti di uscire dall’Accordo di Parigi (AP). Questo minaccia di annullare i guadagni faticosamente ottenuti nella riduzione delle emissioni e mette i nostri Paesi vulnerabili a maggior rischio. L’AP rimane un patto climatico vitale e dobbiamo proteggerlo per il futuro del nostro pianeta e della nostra generazione”. 

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, ha ricordato in una conferenza stampa che “il cambiamento climatico è una sfida comune a tutta l’umanità. Nessun Paese può rimanere indifferente o risolvere il problema da solo. La Cina collaborerà con tutte le parti per affrontare attivamente le sfide del cambiamento climatico”. 

Marina Silva, ministro dell’Ambiente del Brasile, che ospiterà i colloqui della Cop30 a Belém a novembre, ha commentato: “(Le decisioni di Trump, ndr) sono l’opposto delle politiche guidate dalle prove portate dalla scienza e dal buon senso, imposte dalla realtà degli eventi meteorologici estremi, anche nel suo stesso Paese”.