BRISBANE - Dove potrebbe vivere una biologa marina, se non su un’isola che si affaccia sull’oceano? E, infatti, Daniela Ceccarelli ha scelto come base per la sua vita personale e professionale Magnetic Island, un piccolo angolo di paradiso dove abitano duemila persone, a quaranta minuti di traghetto da Townsville, in Queensland.

Impiegata nel programma di monitoraggio a lungo termine della barriera corallina dell’Istituto di Scienze marine australiano, dal 2021 trascorre ogni anno 120 giorni in barca per raccogliere i dati di oltre 100 barriere coralline.

Questi vengono poi confrontati con quelli dei 40 anni precedenti, quando è stato istituito il programma grazie al quale è stata fatta una selezione delle barriere coralline seguendo un criterio che voleva rappresentare tutto l’ecosistema australiano.

L’interesse per il mondo sottomarino è nato, quasi per caso, quando Ceccarelli frequentava le elementari, durante la visione di un documentario, come racconta:

“Andavo a scuola in un piccolo istituto internazionale ad Aleppo, in Siria, dove mi sono trasferita dall’Italia per circa sette anni con la mia famiglia, per il lavoro di papà. Tutti i giovedì, il preside ci riuniva per farci vedere una puntata del documentario Life on Earth della BBC e un pomeriggio, il tema era la barriera corallina. Da lì mi si è accesa la scintilla”.

Da allora Ceccarelli ha letto e si è interessata all’argomento, anche se l’elemento marino nella sua quotidianità non era presente neanche quando, lasciata Aleppo, si è trasferita in Svizzera per proseguire gli studi.

Prima di cominciare l’ultimo anno delle superiori ha trascorso una vacanza in Australia durante la quale, su consiglio di un conoscente, ha visitato l’Università James Cook di Townsville, sede di un importante dipartimento di Scienze marine, a cui la giovane studentessa ha subito deciso di iscriversi. Un anno dopo, Ceccarelli è salita sull’aereo per Brisbane e “il resto è storia”, dice ridendo.

Dopo l’università e un corso da sub, perché il suo interesse era di immergersi nelle profondità marine, ha completato anche un dottorato di ricerca, specializzandosi nello studio della barriera corallina.

“Quello che stiamo vedendo in questi ultimi mesi è uno degli eventi di sbiancamento più importanti da anni. I dati che stiamo raccogliendo sono preoccupanti e gli studi dicono che una situazione così grave non si registrava da almeno mezzo secolo”, dichiara Ceccarelli. 

Per capire cosa significhi lo sbiancamento della barriera corallina, la scienziata parte dalla formazione dei coralli, che altro non sono che minuscoli animali marini, chiamati polipi, che vivono in colonie.

L’unione dei polipi dà forma ai coralli come li conosciamo e, come in una grande famiglia, condividono i nutrimenti, ma anche lo stress derivante da eventi esterni. Per nutrirsi, i polipi catturano dentro alla loro pelle alghe microscopiche che, attraverso il processo di fotosintesi, rilasciano zucchero, la principale forma di nutrimento dei coralli. Anche la colorazione delle barriere coralline si deve alle alghe che, in cambio, ricevono protezione dai pesci.

Nel momento in cui l’acqua raggiunge una temperatura troppo elevata, le alghe diventano tossiche per i coralli, che devono quindi espellerle. In questo modo, perdono la loro colorazione e, diventando trasparenti, lasciano intravedere il colore del loro ‘scheletro’, che è bianco. “Per questo si parla di sbiancamento.

Un corallo sbiancato, quindi, è un corallo molto stressato e affamato e la causa principale è l’innalzamento della temperatura dell’acqua”, chiarisce Ceccarelli.

La notizia positiva è che lo sbiancamento non è necessariamente un processo irreversibile: se le temperature dell’acqua rientrano nei limiti in un periodo di tempo abbastanza breve, i coralli possono riassorbire le alghe e tornare alla condizione precedente. Se anche un’intera barriera corallina dovesse sbiancare, inoltre, potrebbe ancora recuperare con i nuovi coralli nati da altre barriere coralline ancora in salute e trasportati dalle correnti.

Ci sono però altre due condizioni che mettono in pericolo questo prezioso ecosistema: i cicloni e le stelle marine, la cui popolazione può aumentare in maniera incontrollata e causare enormi danni, poiché le stelle marine mangiano i coralli.

Sebbene siano native, sono considerate dei parassiti e devono essere tenute sotto controllo; per questo sono stati avviati dei programmi dedicati.

“Gli ultimi sbiancamenti sono avvenuti nel 2016 e 2017 e grandi porzioni di barriera corallina sono morte in quel periodo. Dal 2017 non si erano verificati tanti episodi, non si erano registrati cicloni, che causano solitamente molti danni o le stelle marine - spiega Ceccarelli -. La situazione sembrava abbastanza stabile e la barriera corallina si era ripresa, ma in questi mesi la situazione è drammaticamente peggiorata. E la preoccupazione è che queste ondate di calore, causate dal cambiamento climatico, diventino la norma e che siano così frequenti che il corallo non ha il tempo di recuperare”.

Se dovesse morire la barriera corallina, con lei morirebbero milioni di specie marine.

Ceccarelli spiega anche la difficoltà di misurarsi con queste situazioni sempre più estreme, perché, se è vero che sappiamo molto della vita sulla terra, è altrettanto vero che le informazioni che abbiamo del mondo sottomarino sono molto più limitate.

“Fare ricerca sott’acqua è complicato e con tutte queste crisi ecologiche che stiamo vivendo è urgente saperne di più e in fretta. È molto difficile proteggere un ambiente che non si conosce bene. Ad esempio, è fondamentale capire quali specie è più importante salvare per l’ecosistema e, se non abbiamo informazioni sufficienti, non sappiamo dove concentrare i nostri sforzi”.

Sono numerosi i fronti su cui lavorare per salvaguardare il sistema marino: da un lato ci sono i ricercatori che cercano di guadagnare tempo per questo fragile ecosistema; dall’altro ci sono le necessarie politiche da implementare per rallentare il fenomeno del cambiamento climatico. 

“Uno dei gruppi di lavoro dell’Australian Institute of Marine Science, ad esempio, sta conducendo delle ricerche per capire se e quanto il corallo è in grado di adattarsi all’innalzamento delle temperature. Anche la relazione tra il corallo e l’alga è sotto esame, perché differenti varietà di alghe si comportano diversamente alla stessa temperatura. E ancora, è attivo un programma di allevamento di coralli, grazie al quale sono stati rilasciati in mare centinaia di piccoli polipi, con la speranza che possano ripopolare la barriera corallina. La maggior parte della ricerca in questo momento - riassume la biologa marina - è concentrata su come alleviare l’impatto dell’intervento umano sulla barriera corallina”. 

Queste prove fatte in laboratorio non possono essere considerate una risposta al problema:

“La priorità rimane quella di rallentare il cambiamento climatico e di trovare soluzioni a lungo termine”, ha tenuto a specificare Ceccarelli, che interpreta il suo ruolo e quello dei colleghi, come dei “messaggeri”.

“Noi portiamo fuori dal mare le informazioni per le persone che hanno il compito di decidere; traduciamo i segnali che ci dà l’ecosistema. Il mare è molto importante per la Terra e per tutti noi: due terzi dell’ossigeno che respiriamo, viene dal mare”.