Ha colto tutti di sorpresa il nuovo decreto-legge 28 marzo 2025 n. 36 in materia di cittadinanza italiana. Dopo circa due ore in riunione a Palazzo Chigi, il Consiglio dei ministri ha difatti approvato una normativa ius sanguinis che stravolge completamente le precedenti regolamentazioni.
E se per il ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, si tratta di una riforma “di grande importanza, perché punta a rinforzare il legame tra chi vuole essere cittadino italiano e l’Italia”, la comunità internazionale ha reagito con particolare disappunto ai cambiamenti sopraggiunti da un giorno all’altro.
Il provvedimento introduce infatti modifiche rilevanti partendo da un limite generazionale e riconoscendo automaticamente la cittadinanza solo a chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia, mentre chi ha solo bisnonni o avi più lontani non avrà più diritto automatico.
Inoltre, prevede un vincolo di residenza pregressa in Italia per almeno uno dei genitori e introduce obblighi di “esercizio” della cittadinanza per mantenerne il possesso nel tempo.
Per Nicola Carè, deputato del Partito Democratico, eletto nella circoscrizione Estero: Africa-Asia-Oceania-Antartide, si tratta di “un attacco ai diritti fondamentali di chi emigra e delle loro discendenze”.
“Le recenti modifiche sono inaccettabili e ridicole – ha dichiarato –. La motivazione ufficiale, secondo cui si intende ‘tutelare’ il processo di acquisizione della cittadinanza italiana, è un pretesto. Diventare cittadino italiano non è solo una formalità: è un riconoscimento di identità, cultura e appartenenza”.
Per Carè si stanno infatti “imponendo restrizioni e complicazioni che non hanno alcuna giustificazione ragionevole”.
“I tempi e le modalità di questa operazione legislativa sono inadeguati e mostrano una totale disconnessione dalle reali esigenze di chi ha scelto di portare il nome e i valori italiani nel mondo – ha continuato –. Ci batteremo con tutte le nostre forze per difendere i diritti dei cittadini italiani all’estero. Non permetteremo che la nostra identità venga svenduta per mere logiche politiche”.

Nicola Carè, deputato del Partito Democratico, eletto nella circoscrizione Estero: Africa-Asia-Oceania-Antartide
Anche il senatore del Partito Democratico, Francesco Giacobbe, eletto nella stessa circoscrizione Africa-Asia-Oceania-Antartide, “il decreto rappresenta un attacco ai diritti degli italiani all’estero”, colpendo in particolare comunità storiche di emigrati, come quelle nelle Americhe e, ovviamente, in Australia dove “fin dall’inizio del Novecento molte famiglie hanno mantenuto vive le tradizioni e il legame con l’Italia”.

Il senatore del Partito Democratico, Francesco Giacobbe, eletto nella stessa circoscrizione Africa-Asia-Oceania-Antartide
Secondo il senatore dem, inoltre, il decreto si inserisce in una più ampia strategia del governo di destra che già in passato ha dimostrato di voler marginalizzare gli italiani all’estero, riducendo fondi, servizi consolari e opportunità di partecipazione politica.
“Si parla di un presunto abuso incontrollato di richieste di cittadinanza, ma la verità è che si sta colpendo una comunità che da sempre contribuisce al prestigio e alla crescita del nostro Paese – ha aggiunto –. Non c’è nessun dato che dimostri un’emergenza tale da giustificare una misura così drastica e discriminatoria. Si sarebbe potuto studiare una modifica condivisa con il supporto del Parlamento, invece di intervenire in maniera emergenziale”.
I rappresentanti dem all’estero hanno quindi annunciato di voler presentare emendamenti correttivi al decreto “per non lasciare nulla di intentato [e] difendere i diritti degli italiani, anche se non sono nati in Italia”.
Di ritorno dal recente Intercomites Australia, che questa volta ha avuto luogo a Perth (servizio a pagina 52), anche il presidente del Com.It.Es. Victoria e Tasmania, Ubaldo Aglianò, si è detto “perplesso” di fronte a un tema così complesso e articolato che non ha considerato un primo confronto con le importanti rappresentanze dei connazionali all’estero.

Il presidente del Com.It.Es. Victoria e Tasmania, Ubaldo Aglianò
“Auspichiamo in fase di conversione del decreto in legge che quantomeno si possa metter mano a qualche riforma o emendamento al fine di mitigare o bilanciare con criteri più idonei la richiesta della cittadinanza – ha asserito –. Di storie ne conosciamo tante, perché ci arrivano ogni giorno segnalazioni di discendenti che vorrebbero ottenere la cittadinanza, ma che incontrano le difficoltà legate ai tempi di istruttoria. Ci sono difatti criteri oggettivi da dover rispettare, come la conoscenza della lingua italiana, ma alla fine è difficile poter giudicare la genuinità di un interesse verso l’Italia. Forse, oltre alla lingua, sarebbe utile verificare, ad esempio, che i propri avi siano stati iscritti all’AIRE; un passaggio che mostrerebbe un legame concreto con il Belpaese”.
A subire i cambiamenti del recente decreto-legge è stato Jake Vincenzo Kite, residente a Melbourne, impegnato nel corso degli ultimi anni nell’elaborazione della documentazione necessaria per la richiesta di cittadinanza italiana – certificati anagrafici e di nascita, stato civile, traduzioni e legalizzazioni.
Il suo bisnonno materno, infatti, era originario di Vizzini, in provincia di Catania, in Sicilia, ed è arrivato in Australia nel primo dopoguerra dove ha dato vita alla sua famiglia; sua figlia infatti – la nonna di Kite – è nata prima che suo padre fosse naturalizzato australiano.
“Secondo la precedente normativa ius sanguinis, anche mia nonna, essendo nata prima che il mio bisnonno diventasse cittadino australiano, era tecnicamente cittadina italiana. Io e mia madre avevamo quindi il diritto di poter fare la domanda di cittadinanza, pur dovendo intraprendere un percorso a ritroso più lungo – ha spiegato –. Il cambio legislativo ha quindi un enorme impatto su di me perché ormai limita la richiesta a due generazioni”.
Non avendo effettivamente consegnato la documentazione prima del 27 marzo scorso – il decreto non ha in effetti valore retroattivo –, Kite è costretto per ora a congelare l’iter avviato solo con il primo appuntamento al Consolato.
“Riconosco di aver avuto tanti anni per poter finalizzare i documenti, ma di certo non ci aspettavamo un cambiamento del genere – ha aggiunto –. È avvilente perché mi sento profondamente legato all’Italia non solo per l’impegno profuso negli anni per apprendere la lingua italiana (che parla fluentemente, ndr), ma anche perché ho di recente comprato casa a Ragusa, in Sicilia”.
Un decreto-legge è immediatamente esecutivo, ma necessita comunque dell’approvazione in Parlamento italiano entro 60 giorni dall’emissione.
Per il direttore del Co.As.It. di Melbourne, Marco Fedi, risulta adesso necessario evidenziare le criticità presenti nel quadro normativo: il rischio di escludere intere generazioni di discendenti di italiani all’estero, “che da decenni alimentano con affetto, cultura e partecipazione il legame con l’Italia”; l’assenza di un meccanismo transitorio chiaro per le pratiche in corso; l’impatto potenzialmente sproporzionato su comunità che, pur lontane geograficamente, vivono profondamente l’identità italiana.

Il direttore del Co.As.It. di Melbourne, Marco Fedi
“Riteniamo essenziale che si apra una fase di consultazione con le comunità all’estero, con gli esperti di diritto costituzionale e internazionale, con gli operatori consolari e i patronati che quotidianamente accompagnano i cittadini nel percorso di riconoscimento – ha dichiarato –. In un momento così delicato, abbiamo bisogno di scelte ponderate, di ascolto reciproco e di un dialogo responsabile che metta al centro l’unità della comunità italiana globale, nel rispetto della nostra storia”.