Li chiamano superfood enfatizzandone le caratteristiche e le proprietà nutrizionali, e sono un po’ come gli spinaci per Braccio di ferro. Si tratta di alimenti che, seppure diversi per natura, aspetto e consistenza, sono accomunati da un contenuto di micro e macro nutrienti percentualmente più alto rispetto alla media degli altri alimenti. Anche se, per la verità, nessun ente o autorità scientifica ha mai autorizzato l’uso ufficiale del termine superfood, appannaggio molto più di slogan pubblicitari che non delle scienze della nutrizione. Ma, per quanto scientificamente inesatta possa essere la definizione non si può esimersi dal considerare alcuni alimenti più particolarmente benefici per la salute e il benessere dell’organismo umano. Figura, nel novero dei cosiddetti “superfood”, certamente il cavolo, ortaggio appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, la stessa di broccoli, verza e cavolfiore, noto fin dall’antichità più remota per i suoi tanti e diversi benefici nutrizionali. Nella mitologia nordica e scandinava, il cavolo era simbolo di fertilità. Si usava, infatti, regalarne alle coppie di sposi che, come auspicio di prosperità, lo avrebbero poi collocato sui davanzali o ancor meglio sui tetti delle loro abitazioni. E lo si considerava così tanto propiziatorio, questo ortaggio, da portare a credere che i bambini non potessero che nascere, appunto, ‘sotto i cavoli’. Esistono diverse varietà di cavolo, da quello riccio, al cavolo cappuccio, dal cavolo nero a quello viola al cavoletto di Bruxelles, tutte generose dispensatrici di sostanze nutritive che arricchiscono i piatti con gusto e colore. Le proprietà salutistiche di questi ortaggi sono numerose in ragione della loro ricca dotazione di sali minerali, antiossidanti e antinfiammatori naturali. Per sfruttare al meglio le qualità del cavolo, è consigliabile includerlo nella dieta almeno due volte a settimana, mangiandolo crudo, cotto al vapore, arrostito, in purea, trasformato in riso o come base per la pizza. Il cavolo è davvero un ingrediente sorprendente e salutare, che merita di essere sperimentato in cucina. Una delle ragioni per le quali il cavolo viene considerato un “superfood” è la sua ricca dotazione di glucosinolati. Si tratta di composti glucosidici che, nell’intestino, stimolano la produzione di particolari enzimi. Questi ultimi, oltre a supportare le funzioni del sistema cardiocircolatorio e della tiroide, contribuiscono tanto a rallentare il naturale invecchiamento cellulare (importante funzione antiossidante) quanto a prevenire l’insorgenza di alcuni tumori, tra i quali soprattutto il cancro della prostata e del colon. Basti pensare che 100 g di cavolo riccio contengono circa 100 mg di glucosinolati. I cavoletti di Bruxelles, addirittura 236 mg. Inoltre le vitamine C ed E, i polifenoli e altri composti bioattivi presenti nel cavolo contribuiscono a migliorare la salute della pelle, rallentando i segni dell’invecchiamento. Per altri versi, invece, le persone con disfunzioni tiroidee dovrebbero moderare il consumo del cavolo per il fatto che le Brassicacee, soprattutto quando consumate in grandi quantità o crude, apportano composti “goitrogeni”, cioè antinutrienti che interferiscono con la produzione di ormoni tiroidei. Va anche ricordato che i cavoli assorbono e fissano i minerali presenti nel suolo, come nichel, cromo, cadmio, piombo, nitrati, tanto che da essere spesso utilizzati, insieme ad altre crucifere, per disinquinare e depurare terreni contaminati. Per questo è opportuno che chi ha allergia al nichel non includa nella propria dieta questo alimento.

Dieta occidentale? Meglio quella africana

Dieta occidentale? No, meglio convertirsi a quella africana, perché è in grado di “spegnere” l’infiammazione, al contrario dell’alimentazione occidentale che, quando composta da cibi lavorati, ipercalorici e così via, l’accende. La consacrazione dei menu tradizionali del Continente nero arriva da uno studio, che ha mostrato cosa succede quando ci si converte a uno o all’altro regime alimentare. Il passaggio per sole due settimane da una dieta africana tradizionale a una dieta occidentale provoca infiammazione, riduce la risposta immunitaria ai patogeni e attiva processi associati a malattie legate allo stile di vita. Mentre lo switch al contrario, da una dieta occidentale a una africana ricca di verdure, fibre e cibi fermentati ha effetti positivi. Lo studio evidenzia l’impatto significativo che ha quello che mangiamo sul sistema immunitario e sul metabolismo. Le malattie legate allo stile di vita, come malattie cardiovascolari, diabete e condizioni infiammatorie croniche, stanno aumentando in tutta l’Africa, e pongono una sfida crescente ai sistemi sanitari in tutto il continente. Il crescente sviluppo economico, l’urbanizzazione e la maggiore disponibilità di alimenti trasformati hanno accelerato l’adozione di abitudini alimentari occidentali in Africa. Per comprendere le conseguenze sulla salute di questo cambiamento, gli esperti hanno esplorato gli effetti di questi cambiamenti dietetici sulla salute. Allo studio hanno partecipato 77 uomini sani della Tanzania, residenti sia in aree urbane che rurali. Alcuni tradizionalmente seguivano una dieta africana e sono passati a una dieta occidentale per due settimane, mentre altri che mangiavano una dieta occidentale hanno adottato una dieta africana tradizionale. Un terzo gruppo ha consumato una bevanda di banana fermentata ogni giorno. Come controllo, 10 partecipanti hanno mantenuto la loro dieta abituale. I ricercatori hanno dunque analizzato in modo completo la funzione del sistema immunitario, i marcatori d’infiammazione del sangue e i processi metabolici all’inizio, dopo l’intervento di due settimane e di nuovo quattro settimane dopo. I partecipanti passati a una dieta occidentale hanno mostrato un aumento delle proteine infiammatorie nel sangue, insieme all’attivazione di processi biologici collegati alle malattie legate allo stile di vita. Anche le loro cellule immunitarie hanno risposto in modo meno efficace ai patogeni. Nel frattempo, chi aveva sposato la dieta africana tradizionale o aveva consumato la bevanda fermentata ha mostrato una riduzione dei marcatori infiammatori. Alcuni di questi effetti sono persistiti anche quattro settimane dopo, il che indica che i cambiamenti dietetici a breve termine possono avere effetti duraturi.Questo è il primo studio a mappare in modo esaustivo gli effetti sulla salute di una dieta tradizionale africana. La ricerca precedente si è concentrata su altre diete tradizionali, come quella giapponese o mediterranea. Tuttavia, c’è altrettanto da imparare dalle diete tradizionali africane, soprattutto ora che gli stili di vita in molte regioni di questo continente stanno cambiando rapidamente e le malattie legate allo stile di vita sono in aumento. 
La ricca diversità delle diete tradizionali dell’Africa offre opportunità uniche per ottenere preziose informazioni su come il cibo influenza la salute. Gli studiosi trovano notevole quanto siano significativi gli effetti della dieta, anche dopo appena due settimane. La dieta africana comprende molte verdure, frutta, fagioli, cereali integrali e cibi fermentati. Lo studio evidenzia i benefici di questi prodotti alimentari tradizionali per l’infiammazione e i processi metabolici nel corpo. Allo stesso tempo, mostra quanto possa essere dannosa una dieta occidentale non sana. Di solito è composta da cibi lavorati e ipercalorici, come patatine fritte e pane bianco, con sale eccessivo, zuccheri raffinati e grassi saturi. L’infiammazione è alla base di molte condizioni croniche, il che rende questo studio altamente rilevante anche per i Paesi occidentali.