Lo usiamo istintivamente quanto più i nostri neuroni specchio hanno filmato i volti sorridenti e affettuosi dei genitori, dei nonni, di un fratello maggiore, degli amichetti. Lo usiamo poco se nei primi filmati della nostra vita il sorriso è raro o assente sul volto di chi ci accudisce, come succede se la mamma è depressa e il papà assente, fisicamente o emotivamente, oppure aggressivo e ringhioso.

Il sorriso ha una solida base neurobiologica. Conoscerla può stimolarci a usarlo più consapevolmente per migliorare la nostra salute e il benessere delle persone che amiamo, o con cui condividiamo il tempo prezioso del lavoro o dello svago. In effetti il sorriso sincero e affettuoso è espressione di un’ampia attivazione del cervello: innanzitutto, coinvolge i neuroni specchio, che sono le cellule nervose motorie per eccellenza. Ecco perché i bambini sorridenti, circondati fin dalla nascita da volti sorridenti, hanno maggiori probabilità di inserirsi bene a scuola, di indurre atteggiamenti più positivi negli adulti che li circondano, di essere più considerati e apprezzati, anche perché apprendono più rapidamente e in modo più efficace.

Secondo, il sorriso stimola i neuroni che producono neurormoni amici come l’ossitocina, che scrive nel cervello il nome e il volto di chi, sorridendoci con amore, ci rende più felici. Terzo, riduce l’attività dei neurormoni che attivano l’asse dello stress, con riduzione dell’ormone adrenocorticotropo (ACTH) e del cortisolo. Di fatto l’“indice quotidiano” del sorriso, ossia quanto abbiamo sorriso in una giornata, a chi, dove e perché, è un indicatore concreto e affidabile della nostra salute fisica e mentale, di quella delle persone che amiamo ma anche della salute delle nostre relazioni, familiari e professionali. Quarto, il sorriso attiva le aree di ricompensa, sempre grazie all’ossitocina, e ci mette sotto il controllo del comandante dei tempi di pace, il sistema parasimpatico, che media tutte le funzioni legate al benessere: fra queste, favorisce la scelta di questo comportamento positivo e vincente nelle relazioni interpersonali, ma anche con un animale amato. E’ quindi un modificatore strategico delle atmosfere emotive interpersonali.

Attenzione tuttavia: molto dell’effetto dipende dalle sue caratteristiche motorie, mimiche e posturali. Il sorriso si declina infatti con tre diverse espressioni del viso, caratterizzate da una mimica diversa. Se esprime apprezzamento e ricompensa emotiva, l’espressione è simmetrica tra le due metà del volto, con sollevamento delle sopracciglia. Se esprime affetto e amore, tipici di un comportamento positivo di vicinanza e affiliazione, è simmetrico con leggera pressione delle labbra. Se esprime dominanza, è asimmetrico tra le due parti del volto, con arricciamento del naso e sollevamento del labbro superiore, tipico del sorriso arrogante.

L’analisi della saliva dimostra che nel sorriso affettuoso e sincero aumenta l’ossitocina, ormone dell’amore, e si riduce il cortisolo, ormone dello stress, sia in chi sorride, sia nel destinatario del sorriso: ecco perché ci si sente molto meglio. Di converso, il sorriso di dominanza aumenta il cortisolo, ormone dello stress, e riduce l’ossitocina, sia in chi sorride arrogante, sia nel destinatario-vittima di quel sorriso, che si sente molto a disagio.

Non ultimo, il sorriso correla con le capacità cognitive e la salute del cervello. Nei bambini, un alto indice di sorriso giornaliero, inteso come percentuale di sorrisi sul totale di emozioni espresse dal volto, tiene calmi e sereni sotto il comandante dei tempi di pace, il parasimpatico. Questo stato di benessere emotivo, di cui il sorriso è affidabile indicatore, correla con una migliore capacità di attenzione, concentrazione e memoria, con alto apprendimento e migliori risultati in scuola, sport e musica. Negli anziani, un basso indice di sorriso è un segnale di allarme critico. La riduzione dell’espressività del volto («ipomimia») è il primo segnale di deterioramento cognitivo (di cui la depressione occupa i primi fotogrammi), demenza di Alzheimer e morbo di Parkinson.

In positivo, medici e infermieri più sorridenti e gentili aumentano la fiducia nella relazione di cura, l’aderenza alle terapie e i risultati in temini di miglioramento e guarigione: davvero, il sorriso che cura.