MELBOURNE - A settembre, compirà vent’anni il campus di Prato della Monash University. Con sede a Palazzo Vaj, una residenza nobiliare del Settecento, costruita sulle mura cittadine medievali, la sede italiana dell’ateneo di Melbourne continua a essere la testimonianza di una politica attenta all’internazionalizzazione e agli scambi con il resto del mondo, anche in un momento storico in cui la mobilità globale risulta limitata. Ne abbiamo parlato con Cecilia Hewlett, prorettore vicario con delega per il centro di Prato e vicepreside della facoltà di Arti (Portfolio Internazionale). 

Storica specializzata nel Rinascimento, Hewlett è stata coinvolta con il campus italiano fin dagli esordi, quando a dirigere Prato era il professor Bill Kent. La scelta di aprire una sede internazionale di Monash ricadde sulla città toscana per svariate ragioni: in primo luogo per i solidi contatti esistenti tra gli enti locali e l’accademica Annamaria Pagliaro, seconda direttrice del campus; poi per la posizione strategica in Italia e in Europa, comprovata da realtà simili fondate in Toscana da altri atenei americani e britannici. Modelli che, ci tiene a sottolineare Hewlett, Monash non intendeva replicare ma ripensare come punto d’appoggio privilegiato per i propri ricercatori e studenti per accedere (e comprendere meglio) l’Europa di oggi.  

Nel corso di due decenni, la decisione si è rivelata azzeccata e il campus di Prato ha aiutato Monash a stabilire legami e collaborazioni non solo nelle più ovvie discipline (storia, lingua e belle arti) ma in quasi tutti gli ambiti di studio abbracciati dall’ateneo, incluse scienze, tecnologia, legge, ingegneria (uniche eccezioni, per ora, le facoltà di farmacia e medicina, che necessitano di laboratori particolari). Le collaborazioni esulano dall’ambito accademico e sono anche aziendali, come nel caso della Woolmark Company Australia che opera ora a Prato, città nota per il fiorente settore tessile.  

Sono forti anche le connessioni con gli enti locali, per esempio con PIN, il campus pratese dell’Università di Firenze, e con la comunità in generale, di cui Monash ormai fa parte a tutti gli effetti. L’ateneo ha portato avanti numerose ricerche in loco legate a studi su immigrazione e coesione sociale nelle città. Ne è un esempio il progetto curato dall’accademico Matteo Dutto, in collaborazione con otto scuole superiori di Prato, la National Geographic Society, la Scanlon Foundation e il Comune. Alcuni ragazzi di background linguistici e culturali diversi hanno creato una piattaforma digitale in cui hanno raccontato la loro città, riappropriandosene e sfidando la narrazione che si fa generalmente dei migranti. Il risultato di questa “mappatura” è disponibile online, in italiano e in inglese. 

Nell’arco di vent’anni, grazie a una visione e una strategia chiare fin dagli inizi, i programmi sono stati in continua espansione, per lo meno fino alla brusca interruzione del 2020: sono circa 800 gli studenti di Monash che passano ogni anno per Palazzo Vaj e 40 le conferenze e gli incontri tra ricercatori organizzati tra primavera e autunno. 

Soggiorni e corsi sono diversificati per contenuto e durata e vanno da programmi scientifici (per esempio l’unità di astronomia intitolata da “Galileo al GPS”) a trimestri di legge, da lezioni di lingua e cultura a tirocini nelle scuole italiane per chi vuole ottenere la laurea specialistica in scienze della formazione.

Non c’è bisogno di una conoscenza pregressa dell’italiano per accedere all’offerta formativa di Prato ma, sottolinea Hewlett, tutti gli studenti possono frequentare un corso extracurriculare che fornisce nozioni base di lingua e gli strumenti sufficienti ai ragazzi per capire meglio la realtà che li accoglie, ovvero una cittadina fuori dalle rotte turistiche (anche se ad appena 20 minuti da Firenze), con un’accentuata anima multiculturale e ritmi ben diversi da quelli a cui sono abituati gli studenti australiani.  

Sono sempre di più i ragazzi di origine italiana che colgono la possibilità di recarsi a Prato per studio e per visitare il Paese delle proprie radici, anche grazie alle borse di studio messe a disposizione ogni anno dall’Italian Australian Foundation

Il cortile di Palazzo Vaj, restaurato grazie al supporto di Carla Zampatti. (Foto: Monash University)

Se si parla di comunità italo-australiana, non possono non essere menzionati i nomi di alcuni patrocinatori, il cui supporto economico è stato fondamentale per la creazione e lo sviluppo del campus di Prato: in primo luogo Rino Grollo e Diana Ruzzene Grollo, che hanno per primi finanziato l’apertura del centro di Palazzo Vaj. In secondo luogo, la compianta icona della moda Carla Zampatti, che ha contribuito al restauro del cortile rinascimentale, uno spazio verde prezioso nel cuore della città e aperto anche al pubblico. Nel corso degli anni, ricorda Hewlett, è stato lodevole l’apporto di Sir James Gobbo con la sua opera di promozione e sensibilizzazione.

Al momento, ci racconta Hewlett, Prato e la Toscana stanno tornando ad animarsi anche di presenze internazionali ma rimane difficile, dall’Australia, pianificare la riapertura. In questi mesi, tuttavia, il lavoro non si è fermato e Monash ha confermato il proprio impegno nei confronti di Prato: “[Il campus] è visto come una parte fondamentale di quanto dobbiamo continuare a fare, come istituzione, per offrire opportunità internazionali ai nostri studenti. Nel mondo post-pandemia, c’è la tendenza a chiudersi. Noi ci impegniamo a fare l’opposto. Si tratta solo di capire quando si potrà farlo”. In particolare, continua Hewlett, verranno rivisti i programmi interdisciplinari per le lauree di primo livello, con un nuovo piano formativo accattivante che si concentrerà su temi come migrazione e leadership climatica. Inoltre, verrà rafforzata la ricerca con la creazione di una fondazione che opererà assieme al centro su molti fronti, prendendo spunto dalla lunga tradizione di innovazione che l’Italia offre. 

Un’​aula di Palazzo Vaj. (Foto: Monash University)

Tirocini nelle scuole italiane

Da diversi anni, a trarre beneficio dall’afflusso di studenti australiani della Monash University a Prato sono anche le scuole della città grazie a un programma di tirocinio aperto ai futuri insegnanti che stanno completando la laurea specialistica in scienze della formazione in Australia.

Il programma è aperto a tutti gli studenti, non solo quelli che vogliono insegnare l’italiano, e permette loro di affiancare i docenti italiani negli istituti scolatistici di Prato. Un’esperienza formativa vincente su due fronti: da un lato, consente a bambini e ragazzi italiani di lavorare in classe con un madrelingua inglese e, dall’altro lato, dà la possibilità a futuri insegnanti australiani confrontarsi con un sistema scolastico molto diverso e condividere con i colleghi italiani quanto appreso in termini di gestione di classi multiculturali, un aspetto particolarmente rivelante per una cittadina come Prato.

Il campus toscano di Monash accoglie inoltre anche scolaresche di scuole secondarie australiane interessate a immergersi in un’atmosfera italiana autentica e poco turistica.